REPUBBLICA ITALIANA N.1708 Reg. Sent.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO       ANNO 2005
      Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione I^ - composto dai Signori: N. 10787 Reg. Ric.

      ANNO 2003

 

      1) Giancarlo Coraggio - Presidente

      2) Paolo Carpentieri - Consigliere – relatore

      3) Guglielmo Passarelli Di Napoli - Referendario

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 10787/2003 Reg. Gen., proposto dalla Vodafone Omnitel N.V., con sede legale in Amsterdam e sede dell’amministrazione gestionale in Ivrea (TO), alla Via Jervis 77, in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa, dall’avv. Giuseppe Sartorio, con domicilio eletto in Napoli alla Via dei Mille 16,

contro

il Comune di Napoli, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Tarallo, Barbara Accattatis Chalons d’Oranges, Antonio Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, Anna Ivana Furnari, Giacomo Pizza, Anna Pulcini e Bruno Ricci, con domicilio eletto in Napoli, Piazza Municipio, Palazzo San Giacomo, presso la sede legale dell’ente;

per l’annullamento, previa sospensione

quanto al ricorso introduttivo:

<<1) della deliberazione del Consiglio Comunale n. 104 del 18.6.2003 con la quale il Comune ha approvato, recependo con n.ro 5 emendamenti, la proposta della Giunta comunale contenuta nella delibera n. 4937 del 30.12.2002, avente ad oggetto il “Regolamento per la disciplina delle procedure e della modifica degli impianti radioelettrici operanti tra le frequenze di 100 kHz e 300 GHz”; 2) di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o comunque connesso ivi comprese, per quanto di ragione, la presupposta delibera di G.C. n. 4937 del 30.12.2002 e la successiva nota prot. n. 2075 del 24.7.2003 con la quale il Dirigente del Servizio di progettazione e valutazione ambientale del comune di Napoli, in applicazione del Regolamento impugnato sub 1), ha rappresentato che l’ente “non potrà dare seguito ad istanze di autorizzazioni o denunce di inzio attività, relative ad installazioni di antenne per telefonia mobile che non sia comprese nel piano approvato delle installazioni di cui all’art. 2 del citato Regolamento”.>>;

quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 28 novembre 2003:

<<1) delle note prot. nn. 3221, 3222, 3223, 3225, 3228, 3229, 3231, 3232 del 22.10.2003; nn. 3244, 3245, 3246, 3247, 3248, 3249 e 3250 del 22.10.2003 e n. 3383 del 31.10.2003, con le quali il Dirigente del Servizio ambiente del comune di Napoli, con riferimento alle denunce di inizio attività ovvero alle istanze inoltrate per la realizzazione di altrettante postazioni di antenne per telecomunicazione cellulare, comunica che “sono sospesi i termini di cui alla denuncia di inizio attività, fino all’approvazione del piano. . . .delle installazioni, ai sensi dell’art. 2 del citato Regolamento”.>>;

quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 19 dicembre 2003:

<<1) della nota prot. n. 3457 del 6.11.2003, con le quali il medesimo Dirigente comunale, con riferimento alla denuncia di inizio attività per la realizzazione di altra postazione di antenne per telecomunicazione cellulare,, comunica che “sono sospesi i termini di cui alla denuncia di inizio attività, fino all’approvazione del piano . . . .delle installazioni, ai sensi dell’art. 2 del citato Regolamento.>>;

quanto ai ricorsi per motivi aggiunti depositati in data 10 maggio 2004:

<<1) della nota prot. 1111 del 31.3.2004 con la quale il Dirigente del Servizio ambiente del comune di Napoli ha diffidato la Vodafone dall’iniziare o riprendere i lavori per l’installazione di ben ventotto stazioni radio base nominativamente individuate, nonché “di qualsiasi altra stazione radio base che non sia conforme alle norme previste dal Regolamento comunale, attualmente vigente ad esclusione dell’art. 2, sospeso dal T.A.R. Campania con le suddette ordinanze”; 2) della nota prot. n. 1435 del 15.4.2004 con la quale il Dirigente del Servizio ambiente del comune di Napoli, nel rilevare la non conformità al Regolamento comunale delle istanze e d.i.a. presentate dalla Vodafone e dirette a realizzare la Rete anche nella modalità UMTS (cd. Videofonia) diffida “dal procedere all’installazione delle suddette stazioni radio base e di qualsiasi altro impianto che non siano conformi al citato Regolamento”.>>;

quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 7 luglio 2004:

<<1) della nota prot. n. 1733 del 6.5.2004 con la quale il Dirigente del Servizio ambiente del Comune di Napoli, nel rilevare la non conformità al Regolamento comunale delle istanze e d.i.a. presentate dalla Vodafone e dirette a realizzare la Rete anche nella modalità UMTS (cd. videofonia) diffida “dal procedere all’installazione delle suddette stazioni radio base e di qualsiasi altro impianto che non siano conformi al citato Regolamento” e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.>>.

      VISTI il ricorso ed i relativi allegati;

      VISTO l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli, con le annesse produzioni;

      VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

      VISTI i ricorsi per motivi aggiunti depositati dalla difesa di parte ricorrente in data 28 novembre 2003, 19 dicembre 2003, 10 maggio 2004 e 7 luglio 2004;

      VISTA l’ordinanza n. 6041/2003 del 10 dicembre 2003 con la quale la Sezione ha accolto in parte la domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati con il ricorso introduttivo;

     VISTE le successive ordinanze nn. 384/2004 del 21 gennaio 2004 e 2982/2004 del 19 maggio 2004, con le quali la Sezione ha accolto le domande di sospensione degli ulteriori atti impugnati con i motivi aggiunti;

     VISTI gli atti tutti di causa;

      UDITI alla pubblica udienza del 24 novembre 2004 - relatore il Magistrato Dr. Carpentieri – gli avv.ti riportati a verbale;

      RITENUTO e considerato in fatto e diritto quanto segue:

     FATTO

     La controversia ha ad oggetto il regolamento del comune di Napoli per la disciplina delle procedure per le installazioni e la modifica degli impianti radioelettrici operanti tra le frequenze di 100 kHz e 300 GHz, approvato dal consiglio comunale con delibera n. 104 del 18 giugno 2003 in accoglimento, con 5 emendamenti, della proposta della giunta comunale di cui alla delibera n. 4937 del 30 dicembre 2002.

     I numerosi motivi aggiunti proposti successivamente al ricorso introduttivo – ed in epigrafe dettagliatamente elencati – vertono su atti applicativi conseguenti, con i quali l’amministrazione comunale, in attuazione del regolamento, ha per diversi motivi non accolto le domande della società ricorrente volte a conseguire il titolo per l’installazione di impianti radioelettrici con funzioni di stazione radio base per la rete cellulare di telefonia mobile.

     La società ricorrente ha dedotto diversi motivi di violazione di legge e di eccesso di potere, dubitando del potere comunale di dettare siffatte norme regolamentari e sostenendo, in definitiva, che il regolamento impugnato aggrava i procedimenti in violazione della normativa nazionale, oggi rifluita nel codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. 259 del 2003), ed invade il campo riservato alla normativa statale in tema di fissazione dei limiti massimi di esposizione ad inquinamenti di natura fisica e di determinazione dei tetti d radiofrequenza compatibili con la salute umana, di cui agli articoli 2, comma 14, della legge 349 del 1986, 1, comma 6, n. 15), della legge 249 del 1997 e 4 della legge quadro n. 36 del 2001 (poteri di recente riesercitati con il d.P.C.M. 8 luglio 2003).

     Resiste in giudizio il comune di Napoli difendendo la legittimità dei suoi atti e chiedendo il rigetto delle azioni avversarie.

     Dopo la fase cautelare – in epigrafe riportata – la causa è stata chiamata e discussa alla pubblica udienza del 24 novembre 2004 e indi in quella sede assunta in decisione.

     DIRITTO

     Pregiudiziale e potenzialmente assorbente di ogni altra questione è la disamina del regolamento comunale, che regge invero tutti gli atti applicativi ”a valle”, impugnati con i ricorsi per motivi aggiunti elencati nell’epigrafe.

     Il regolamento comunale rinviene la propria base giuridica nell’articolo 8, comma 6, della legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici n. 36 del 2001 (I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici). Nel preambolo motivazionale della delibera di proposta della giunta comunale il presupposto di fatto dell’intervento regolamentare è in sintesi focalizzato nel rilievo del <<continuo sviluppo delle telecomunicazioni (che) fa prevedere una domanda crescente di utilizzo della risorsa “campo totale ammissibile”>>. Vengono altresì richiamati, come antecedenti “storici” dell’intervento del comune nel tentativo di “governare” l’impatto urbanistico edilizio e ambientale del fenomeno, i precedenti atti, ormai peraltro superati (anche a seguito di un contenzioso giurisdizionale amministrativo su di essi sviluppatori), relativi al “protocollo d’intesa relativo al rilascio delle autorizzazioni per le installazioni di stazioni radio base” firmato dall’amministrazione comunale intimata, dalla Asl Napoli 1 e dai gestori di telefonia mobile in data 3 febbraio 1999.

     Il contenuto innovativo centrale del regolamento è costituito dal “piano delle installazioni”. L’articolo 2, infatti, impone agli operatori, quale condizione per poter ottenere le autorizzazioni dell’articolo 4 del d.lgs. 198 del 2002 (ora art. 87 d.lgs. 259 del 2003), la presentazione, annualmente, di un piano delle installazioni “nel quale devono essere riportati . . . gli impianti da installare nonché tutti gli impianti esistenti, compresi quelli da modificare successivamente all’approvazione del piano”. La norma prevede che il piano presentato dal gestore è soggetto ad approvazione e che ha validità di 12 mesi. Esclude l’installazione di singoli impianti non compresi nel piano. Stabilisce alcune prescrizioni per gli impianti esistenti (i gestori devono assumersi l’impegno di dimettere o adeguare entro 18 mesi quelli – anche se già autorizzati - che non dovessero risultare conformi al piano approvato). L’articolo 3 disciplina la procedura autorizzativa. Essa è la seguente: il comune entro venti giorni manda il piano all’Arpa Campania ai fini della pronuncia di questa struttura di controllo ambientale ai sensi dell’articolo 5, comma 3, dell’allora vigente d.lgs. 198 del 2002. L’Arpa si pronuncia entro venti giorni dalla comunicazione. Nei venti giorni successivi il comune approva il piano (in tutto 60 giorni dalla presentazione). Conseguentemente, una volta approvato il piano, i singoli impianti sono autorizzati con denuncia di inizio di attività se di potenza in singola antenna fino a 20 W, con specifico titolo autorizzativo se di potenza da 20 fino a 100 W, con la specifica autorizzazione provinciale di cui all’articolo 3, comma 1, della legge regionale 24 novembre 2001, n. 14, se di potenza superore a 100 W, ferma restando la necessità del separato titolo edilizio.

     L’articolo 4 detta particolari “prescrizioni”, premettendo, al comma 1, una sorta di motivazione sul punto che tali prescrizioni non costituirebbero limitazioni di tipo urbanistico, ma solo condizioni finalizzate a garantire il rispetto da parte dei gestori dell’obbligo di utilizzare impianti adeguati allo sviluppo delle conoscenze tecnologiche e al relativo perfezionamento tecnico. Le prescrizioni sono le seguenti:

     1) gli impianti devono essere installati in modo che gli edifici distanti da essi meno 50 metri non siano interessati dal lobo principale di irradiazione delle antenne;

     2) gli impianti (ad eccezione delle microcelle) non possono essere installati a meno di 25 metri (distanza calcolata tra gli elementi radianti e gli edifici prospicienti ad essi più vicini) da edifici adibiti a civile abitazione, luogo di lavoro o comunque tali da comportare una permanenza umana (media) superiore alle quattro ore (di cui all’art. 4, comma 2. del d.m. – allora vigente – 10 settembre 1998, n. 381);

     3) è vietato installare impianti su coperture sulle quali prospettano direttamente unità immobiliari appartenenti allo stresso fabbricato adibite a loghi di permanenza superiori alle quattro ore;

     4) è vietato installare impianti a meno di 50 metri dalle strutture sanitarie e scolastiche; è vietato installare impianti più di due impianti per ogni condominio avente più di 6 unità immobiliari e più di un impianto per quelli fino a 6 unità immobiliari;

     5) tutti gli impianti devono essere muniti di un dispositivo di controllo continuo delle potenze elettriche di alimentazione, provvisto di interruttore automatico quando la potenza utilizzata risulti superiore a quella massima consentita, nonché di un sistema di trasmissione dati a un server remoto per il telecontrollo.

     L’articolo 5 prevede la verifica delle installazioni e la sigillatura dei dispositivi di controllo all’atto dell’attivazione degli impianti, nonché il compimento di prove sul campo, con conseguente termine per l’adeguamento (pena la decadenza dal titolo) in caso di emersione di dati non conformi a quanto autorizzato.

     L’articolo 7 stabilisce che gli oneri della procedura sono a carico del gestore e li quantifica in 500 euro.

     L’articolo 9 prevede che il Sindaco può esercitare i suoi poteri contingibili e urgenti a tutela della salute pubblica “in presenza di particolari concentrazioni di inquinanti o di rischi sanitari. Contempla altresì la possibilità di adozione di provvedimenti cautelari e delle misure atte a pervenire alla riduzione a conformità, come previsto dall’allegato al d.m. 381 del 1998 (vigente all’atto dell’adozione del regolamento). I commi 5 e 6 prevedono la revoca del titolo in caso di reiterazione del superamento dei limiti di esposizione e l’irrogazione di sanzioni pecuniarie amministrative da euro 5.000 ad euro 25.000.

     Con il ricorso in esame la società ricorrente contesta in primo luogo la competenza comunale a dettare regole per l’installazione degli impianti radioelettrici dopo la legge regionale 14 del 2001 e il codice delle comunicazioni elettroniche, che avrebbero disciplinato in maniera esaustiva la materia, non lasciando nessuno spazio residuo alla potestà regolamentare comunale.

     Censura quindi talune, singole previsioni del regolamento: in particolare

     a) l’articolo 2, commi 3 e 4, che prevede l’obbligo di dismissione degli impianti già autorizzati se in contrasto con il piano di installazione annuale;

     b) lo stesso articolo 2, soprattutto commi 4, 5 e 8, che aggraverebbe il procedimento per il conseguimento del titolo abilitativo in violazione sia dell’articolo 87 del codice delle comunicazioni elettroniche che della legge regionale n. 14 del 2001; la previsione di una previa approvazione del piano annuale, secondo parte ricorrente, sarebbe legittima solo a condizione di non snaturare il sistema del silenzio-assenso introdotto dalla legislazione statale, nel senso di prevedere che la stessa approvazione del piano annuale, decorsi i termini previsti dall’articolo 3 del regolamento, debba ritenersi conseguibile per silentium;

     c) ancora l’articolo 2, comma 6, nella parte in cui prevede l’obbligo del gestore di rimodulare la proposta in caso di riscontro di “valori di emissione prossimi ai limiti fissati dalla legge”, con irrigidimento indiretto della soglia dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana e l’ambiente stabiliti inderogabilmente dalla normativa statale;

     d) l’articolo 3, nella parte in cui, a valle dell’approvazione del piano annuale, sottopone l’autorizzazione all’installazione di ogni singolo impianto a procedure difformi da quelle previste dalla legislazione statale e regionale, in particolare escludendo il silenzio-assenso per gli impianti di potenza superiore a 100 W, in violazione, tra l’altro, delle linee guida regionali di cui alla delibera 16 giugno 2003, n. 2006;

     e) lo stesso articolo 3, nella parte in cui attribuisce la competenza alla conclusione del procedimento al servizio comunale competente in materia di inquinamento elettromagnetico, lì dove tale competenza spetta, per legge regionale, alla Provincia;

     f) l’articolo 4, nella parte in cui introduce ulteriori prescrizioni e criteri aggiuntivi a quelli stabiliti dalla normativa statale (oggi d.P.C.M. 8 luglio 2003), oltre che asseritamente immotivati e illogici; in particolare, la previsione di criteri c.d. distanziali si porrebbe in contrasto con la normativa statale che, al contrario, mostrerebbe inequivocamente di consentire l’installazione degli impianti all’interno o in prossimità di zone residenziali, subordinandola esclusivamente al rispetto dei valori di campo elettromagnetico maggiormente cautelativi ivi stabiliti;

     g) ancora l’articolo 4, comma 5, ove si limita il numero degli impianti in relazione al numero delle unità immobiliari dell’edificio, con una limitazione aggiuntiva che sarebbe in contrasto con il sistema, articolato solo sulla definizione di tetti di radiofrequenza da non superare, oltre che irragionevole e illogica;

     h) l’articolo 8, nella parte in cui impone un onere aggiuntivo di euro 500 ad impianto in violazione dell’articolo 93 del codice delle comunicazioni elettroniche e attribuisce al comune – anziché alla regione, come previsto dalla legge regionale 14/2001 e dal d.m. 398/1998 – la competenza a disporre la riduzione a conformità;

     i) l’articolo 4, commi 6 e 7, nella parte in cui impone sistemi di telecontrollo a distanza e in automatico non disponibili allo stato delle conoscenze tecniche e comunque troppo onerosi e superflui, attesa l’istruttoria tecnica preventiva sul rispetto dei tetti di radiofrequenza imposti dalla legge.

     Occorre preliminarmente soffermarsi sulla questione pregiudiziale della sussistenza del potere comunale di dettare regole per l’installazione di impianti del genere di quelli oggetto di causa.

     Ritiene il Collegio che la sussistenza di tale potestà regolamentare vada invece affermata, alla stregua del sistema normativo vigente, anche in riferimento alla particolare posizione di autonomia riconosciuta all’ente comunale dal nuovo Titolo quinto della Parte seconda della Costituzione introdotto dalla riforma del 2001. Si tratta, piuttosto, di capire entro quali limiti e su quale ambito tale potestà regolamentare può legittimamente esercitarsi.

     Può prescindersi nella presente controversia dall’esame della questione se il potere regolamentare comunale sia o non subordinato all’integrale, previo esercizio, da parte dello Stato, della funzione regolamentare prevista dall’articolo 4 della legge quadro n. 36 del 2001, ovvero all’esercizio, da parte della regione, delle funzioni di cui all’articolo 8, comma 1, lettere a) e c), stessa legge, in tema di individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile e di definizione delle modalità per il rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti. Ed infatti, quest’ultima funzione è stata già esercitata dalla regione Campania con la ripetuta legge regionale n. 14 del 2001 (il cui testo attualmente vigente va coordinato con il sopravvenuto d.lgs. n. 198 del 2002, vigente al tempo dell’adozione del regolamento impugnato, i cui contenuti normativi sono sostanzialmente rifluiti nel codice delle comunicazioni elettroniche del 2003). Non ignora difatti il Collegio, al riguardo, la giurisprudenza del Consiglio di Stato che pretende, ai fini dell’esercizio del potere regolamentare comunale di cui all’articolo 8, comma 6, della legge n. 36/2001, la previa definizione, da parte della legge regionale, delle competenze spettanti allo stesso comune (Cons. St., sez. VI, 30 maggio 2003, n. 2997; sez. V, 18 novembre 2002, n. 6391). Ma nel caso in esame questa funzione normativa regionale risulta già esercitata, giusta la richiamata legge regionale n. 14 del 2001, donde l’inconferenza, in questa sede, di questo tipo di rilievo.

     Si tratterà, dunque, di verificare la conformità delle previsioni regolamentari con i dettami delle riferite leggi statali (nonché con quelli degli atti regolamentari e delle norme tecniche statali in materia di definizione dei tetti di radiofrequenza tollerabili: d.P.C.M. 8 luglio 2003), ma non sussiste un problema di fondamento giuridico e di competenza in generale dell’ente locale ad esercitare la funzione regolamentare.

     Al riguardo è utile esaminare partitamene i contenuti del regolamento impugnato secondo l’ordine di successione degli articoli, come nello schema espositivo sopra seguito, cominciando dai profili concernenti il piano annuale degli impianti, per poi procedere all’analisi delle specifiche prescrizioni e delle previsioni sanzionatorie e sui controlli.

     Il piano delle installazioni è previsto dall’articolo 2. Questo strumento, in sé considerato, non è illegittimo, poiché risponde ad evidenti criteri di razionalità dell’azione amministrativa l’esigenza di introdurre criteri minimi di conoscenza preventiva e di pianificazione dell’installazione degli impianti al fine di orientare l’attività amministrativa di controllo preventivo urbanistico edilizio, nonché ambientale, della assentibilità di queste installazioni. Tale previsione, nella sua finalità istruttorio-ricognitiva, non è a ben vedere contestata neppure dalla società ricorrente, che ne riconosce l’implicita inerenza allo svolgimento della funzione autorizzatoria (a prescindere da espresse disposizioni normative di rango superiore che la prevedano).

     Merita però condivisione la censura mossa dalla società ricorrente alla procedura di approvazione del piano, disciplinata dall’articolo 3. I termini ivi previsti non sono perentori e il loro inutile decorso equivale a mera inerzia non significativa dell’amministrazione. Il che rischia di vanificare l’impianto della normativa nazionale che è imperniato sul sistema del silenzio significativo tipizzato dalla legge (silenzio-assenso). La previsione normativa è dunque illegittima nella parte in cui non prevede che l’inutile decorso del termine finale ivi stabilito per la conclusione della procedura approvativa equivalga ad assenso. Parimenti illegittima è la previsione, a valle di questo meccanismo di pianificazione concertata, di procedure autorizzative, relativamente ai singoli impianti, diverse da quelle stabilite dall’articolo 87 del codice delle comunicazioni elettroniche (atteso che, inoltre, ogni diversa disciplina sul punto della legge regionale n. 14 del 2001 deve considerarsi abrogata dalla sopravvenuta normativa nazionale incompatibile). E’ dunque illegittima e va annullata, in particolare, la previsione dell’articolo 3, comma  , che rinvia al normale procedimento autorizzativo edilizio per gli impianti che impieghino una potenza elettrica superiore ai 100 W. E’ invece legittima la previsione regolamentare che esclude l’installazione di singoli impianti che non siano compresi nel piano, ché altrimenti ne verrebbe inficiata la logica e la funzione stessa di questo strumento. Illegittima è invece la previsione di effetti “retroattivi” del piano, sub specie di prescrizione dell’assunzione, da parte dei gestori, dell’impegno di dismettere o adeguare entro 18 mesi gli impianti – ancorché già autorizzati - che non dovessero risultare conformi al piano approvato.

     E’ altresì illegittima la previsione contenuta nell’articolo 2, comma 6, ove è stabilito l’obbligo del gestore di rimodulare la proposta in caso di riscontro di “valori di emissione prossimi ai limiti fissati dalla legge”; l’emissione di campo elettrico e magnetico con valori prossimi (ma inferiori) al tetto di radiofrequenza compatibile con la salute umana, stabilito dalla norma statale, non può infatti impedire l’autorizzazione, pena la violazione della disciplina uniforme dettata dal d.P.C.M. del luglio 2003. Resta naturalmente salvo il potere comunale di pretendere la riduzione a conformità (mediante riduzione della potenza elettrica impiegata negli impianti) in caso di accertata sovrapposizione e sommatoria, in loco, di più fonti di emissione.

     L’esame delle censure relative all’articolo 4 pone il tema della legittimità dei criteri c.d. distanziali. Essi, a detta della ricorrente, si porrebbero in contrasto con la normativa statale che non pone distanze di rispetto, ma esclusivamente dei limiti del valore di campo elettromagnetico, maggiormente cautelativi nel caso di tutela dall’inquinamento elettromagnetico di aree “sensibili”.

     Il nodo centrale attorno al quale ruota la riferita questione consiste nel comprendere il senso della previsione dell’articolo 8, comma 6, della vigente legge quadro n. 36 del 2001 (che assegna ai comuni il potere di adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici) nell’ambito del quadro giuridico mutato a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 198 del 2002 (poi annullato per eccesso di delega da Corte cost. n. 303 del 2003), le cui previsioni sono pressoché identicamente riprodotte nel codice delle comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. 259 del 2003.

     Come ripetuto più volte negli atti di causa, la nuova disciplina (soprattutto articoli 86 e 87 del d.lgs. 259/2003) prevede che le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria e sono soggette (art. 87) a procedimenti autorizzatori speciali improntati a criteri di massima accelerazione ed efficienza, imperniati sugli istituti del silenzio assenso e della denuncia di inizio di attività, minutamente descritti dalla norma statale. Da qui la difficoltà, in questo mutato contesto giuridico, di comprendere la portata della surrichiamata norma attributiva di potere regolamentare ai comuni. In specie ove si consideri la pacifica riserva allo Stato della funzione di determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in quanto valori di campo come definiti dall'articolo 3, comma 1, lettera d), numero 2), della legge 36 del 2001, in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'articolo 1 della medesima legge quadro ora citata.

     Come si interpreta la previsione di legge che assegna al potere regolamentare comunale la duplice funzione di assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, e di mirare però anche, nel contempo, a minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici; e come si conciliano queste due funzioni, l’una di sicura attribuzione comunale, l’altra però riservata allo Stato?

     Al riguardo la recente giurisprudenza – sia del giudice amministrativo che della Corte costituzionale - ha fornito significativi elementi di orientamento e di chiarificazione. La giurisprudenza non nega il potere regolamentare comunale, ma lo si limita al punto da svuotarne sostanzialmente la funzione. Così la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2997 del 30 maggio 2003, richiamata da parte ricorrente, nel ribadire che la fissazione di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato non rientra nell’ambito delle competenze attribuite ai Comuni dal citato articolo 8, ha ulteriormente affermato che “alla stregua della disposizione in esame nemmeno è consentito che il Comune, attraverso il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adotti <<misure che nella sostanza costituiscono una deroga ai predetti limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio-base per la telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale>>; ovvero di introdurre misure che pur essendo tipicamente urbanistiche (distanze, altezze, ecc….) non siano funzionali al governo del territorio, quanto piuttosto alla tutela della salute dai rischi dell’elettromagnetismo (cfr. in tal senso Cons. St. VI, 3 giugno 2002, n. 3095)”. “In definitiva – ha concluso il giudice d’appello - la attribuzione ai Comuni di un potere regolamentare volto a <<minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici>> (oltre che <<per assicurare il coretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti>>) deve essere esercitato pur sempre nel rispetto del quadro normativo di riferimento”. Con l’ulteriore corollario che “non può il regolamento comunale sovrapporre un proprio autonomo sistema di cautele (per prevenire i rischi dell’elettromagnetismo) alla specifica normativa statale che ha fissato i limiti delle esposizioni”.

     Analoghe le indicazioni ritraibili dalle pronunce del giudice delle leggi.

     Con la sentenza 7 novembre 2003, n. 331 la Consulta ha esaminato la censura di invasione della sfera di attribuzione normativa statale sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri avverso la norma regionale (legge regionale della Lombardia 6 marzo 2002, n. 4) che stabilisce un generale divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, carceri, oratori, parchi gioco, case di cura, residenze per anziani, orfanotrofi e strutture similari, e relative pertinenze.

     Al riguardo la Corte ha rilevato che la legge quadro 36/2001 affronta specificamente il problema della protezione speciale degli ambienti abitativi, degli ambienti scolastici e dei luoghi adibiti a permanenze prolungate, in vista delle finalità di cui all’art. 1, lettere b) e c), della legge medesima, prevedendo speciali valori di attenzione [art. 3, comma 1, lettera c)] – più rigorosi dei generali limiti di esposizione posti a salvaguardia della salute della popolazione in generale [art. 3, comma 1, lettera b)]. Sulla base di questa premessa il giudice delle leggi ha giudicato incostituzionale la norma regionale censurata sul rilievo che “Per far fronte alle esigenze di protezione ambientale e sanitaria dall’esposizione a campi elettromagnetici, il legislatore statale, con le anzidette norme fondamentali di principio, ha prescelto un criterio basato esclusivamente su limiti di immissione delle irradiazioni nei luoghi particolarmente protetti, un criterio che è essenzialmente diverso da quello stabilito (sia pure non in alternativa, ma in aggiunta) dalla legge regionale, basato sulla distanza tra luoghi di emissione e luoghi di immissione”. “Né, a giustificare il tipo di intervento della legge lombarda, ha proseguito la Corte, è sufficiente il richiamo alla competenza regionale in materia di governo del territorio, che la legge quadro, al numero 1) della lettera d) dell’art. 3, riconosce quanto a determinazione dei "criteri localizzativi". A tale concetto non possono infatti ricondursi divieti come quello in esame, un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformandosi così da "criteri di localizzazione" in "limitazioni alla localizzazione", dunque in prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36. Questa interpretazione, d’altra parte, non è senza una ragione di ordine generale, corrispondendo a impegni di origine europea e all’evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi”. Al fine di motivare questa scelta la Corte si è premurata altresì di dichiarare non più attuale un suo precedente orientamento (sentenza n. 382 del 1999) che aveva invece giudicato conforme al riparto costituzionale delle competenze una norma regionale del Veneto che aveva prescritto distanze di rispetto dagli elettrodotti maggiori e più severe rispetto a quelle statali allora vigenti. La Corte ha in proposito osservato che “da questa pronuncia, a parte la non puntuale coincidenza di materia, non può trarsi in generale il principio della derogabilità in melius (rispetto alla tutela dei valori ambientali), da parte delle Regioni, degli standard posti dallo Stato. La questione allora decisa non si collocava entro un’organica disciplina statale di principio, mentre ora esiste una legge quadro statale che detta una disciplina esaustiva della materia, attraverso la quale si persegue un equilibrio tra esigenze plurime, necessariamente correlate le une alle altre, attinenti alla protezione ambientale, alla tutela della salute, al governo del territorio e alla diffusione sull’intero territorio nazionale della rete per le telecomunicazioni (cfr. la sentenza di questa Corte n. 307 del 2003, punto 7 del "considerato in diritto"). In questo contesto, interventi regionali del tipo di quello ritenuto dalla sentenza del 1999 non incostituzionale, in quanto aggiuntivo, devono ritenersi ora incostituzionali, perché l’aggiunta si traduce in una alterazione, quindi in una violazione, dell’equilibrio tracciato dalla legge statale di principio.

     La Corte costituzionale ha però, con la stessa sentenza in esame, giudicato conforme a Costituzione un’altra norma della legge lombarda impugnata, quella che vietava “l’installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione "in corrispondenza" delle aree "sensibili" che si sono in precedenza dette”, e ciò perché, secondo la Consulta, tale previsione “non si discosta sostanzialmente, sotto il profilo che qui interessa, da altra disposizione regionale che vieta l’installazione dei medesimi impianti "su ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido", ritenuta da questa Corte, con la già citata sentenza n. 307 del 2003 (v. il punto 20 del "considerato in diritto"), compatibile con la legge quadro n. 36 del 2001. Il divieto ora in questione, come quello esaminato in questa sentenza, non eccede l’ambito di un "criterio di localizzazione", sia pure formulato in negativo, la cui determinazione, a norma dell’art. 3, comma 1, lettera d), numero 1), e dell’art. 8, comma 1, lettera e), della legge quadro, spetta alle Regioni. Esso, infatti, a differenza di quello contenuto nell’art. 3, comma 12, lettera a), della legge regionale n. 4 del 2002, precedentemente esaminato, comporta la necessità di una sempre possibile localizzazione alternativa, ma non è tale da poter determinare l’impossibilità della localizzazione stessa.

     Con la citata sentenza n. 307 del 2003 la Corte aveva difatti giudicato conforme a Costituzione l’articolo 10, comma 1, della legge della Puglia 8 marzo 2002, n. 5, recante “Norme transitorie per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico prodotto da sistemi di telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenza fra 0 Hz e 300 GHz” ai cui sensi è vietata l’installazione di sistemi radianti relativi agli impianti di emittenza radiotelevisiva e di stazioni radio base per telefonia mobile su “ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido”. In questa occasione la Corte ha respinto la censura statale secondo cui tale divieto assoluto avrebbe un contenuto diverso ed eccedente rispetto all’unico parametro del valore di campo elettromagnetico prescritto dal d.m. n. 381 del 1998, cui rinvia la norma transitoria dell’art. 16 della legge quadro. Il divieto in questione, siccome riferito a specifici edifici, è stato giudicato non eccedente l’ambito di un “criterio di localizzazione”, in negativo, degli impianti, e dunque rientrante nell’ambito degli “obiettivi di qualità” consistenti in criteri localizzativi, la cui definizione è rimessa alle Regioni dall’art. 3, comma 1, lettera d, e dall’art. 8, comma 1, lettera e, della legge quadro, né di per sé è suscettibile di pregiudicare la realizzazione delle reti.

     Alla stessa stregua di quanto visto nella sentenza n. 331/2003, la Corte, nella pronuncia n. 307 del 2003, ha invece annullato la previsione dell’articolo 7, comma 3, della legge regionale della Marche n. 25 del 13 novembre 2001 che stabilisce che con atto della Giunta regionale sono determinate le distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici “destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi”, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico–artistici o individuati come edifici di pregio storico–architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi. Anche questo annullamento è basato sul rilievo della “genericità ed eterogeneità delle categorie di aree e di edifici rispetto a cui il vincolo di distanza minima viene previsto, tali da configurare non già un quadro di prescrizioni o standard urbanistici, bensì un potere amministrativo in contrasto con il principio di legalità sostanziale e tale da poter pregiudicare l’interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione delle reti di telecomunicazione”.

     Volendo dedurre un criterio applicativo di sintesi da questo materiale giurisprudenziale, potrebbe proporsi il seguente enunciato: è consentito alle regioni ed ai comuni, ciascuno per la sua competenza, introdurre criteri localizzativi degli impianti de quibus, nell’ambito della funzione di definizione degli “obiettivi di qualità” consistenti in criteri localizzativi, di cui all’art. 3, comma 1, lettera d, ed all’art. 8, comma 1, lettera e, e comma 6 della legge quadro; non è invece consentito introdurre limitazioni alla localizzazione. Sono criteri localizzativi (legittimi, ancorché espressi “in negativo”) i divieti di installazione su ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido, siccome riferiti a specifici edifici; sono, invece, limitazioni alla localizzazione (vietate) i criteri distanziali generici ed eterogenei, quali la prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico–artistici o individuati come edifici di pregio storico–architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi.

     In conclusione, i comuni possono legittimamente vietare l’installazione su specifici edifici e dettare criteri distanziali concreti, omogenei e specifici. Non possono introdurre misure di cautela distanziali generiche ed eterogenee.

     La regola desumibile dalla esaminata giurisprudenza, pur nella sua apparente chiarezza, non risulta in realtà di facile ed univoca applicazione. Essa, al di là della formulazione che può sembrare tassativa (o, comunque, ancorata ad elementi oggettivi e ben definiti), risulta essere in realtà piuttosto “aperta” all’intervento integrativo dell’interprete, tramite la clausola generale della concretezza, specificità e non eterogeneità, predicata con riferimento al criterio distanziale “legittimo”. Il vaglio di non eterogeneità e di specificità introduce in definitiva nel canone di valutazione in esame un elemento significativo di discrezionalità, che va governato secondo il criterio della ragionevolezza e della proporzionalità della previsione.

     Si tratta ora di capire se le misure distanziali previste dal comune di Napoli (gli impianti devono essere installati in modo che gli edifici distanti da essi meno di 50 metri non siano interessati dal lobo principale di irradiazione delle antenne; ad eccezione delle microcelle, inoltre devono esservi almeno 25 metri tra gli elementi radianti e gli edifici prospicienti ad essi più vicini adibiti a civile abitazione, luogo di lavoro o comunque tali da comportare una permanenza umana media superiore alle quattro ore) debbano inscriversi tra le limitazioni vietate o tra i criteri localizzativi consentiti.

     Il Collegio opina per l’accoglibilità di questa seconda opzione: il criterio è sufficientemente specifico ed omogeneo ed è proporzionato e non irragionevole. L’unica condizione che deve porsi alla legittimità del suddetto criterio consiste nella previsione della possibilità di una deroga al divieto ove il gestore dimostri l’assoluta impossibilità di conseguire il completamento della rete cellulare, o la efficace copertura di un’area con il segnale irradiato, se non posizionando la stazione radio base esattamente nel punto che sarebbe vietato in base al criterio distanziale.

     Si tratta, osserva tuttavia criticamente parte ricorrente, di limiti aggiuntivi a quelli – espressi esclusivamente in termini di tetto di radiofrequenza compatibile – scelti dalla normativa statale, cui è riservata questa disciplina. Si tratterebbe altresì di limiti non sorretti da adeguata istruttoria tecnica e perciò in definitiva illogici, indimostrati e non supportati da idonea motivazione alla stregua delle attuali risultanze della migliore scienza e conoscenza umana nella materia.

     Al contrario ritiene il Collegio che la ragionevolezza di tali previsioni (contenute in 50 metri nella direzione del lobo principale di irradiazione delle antenne e 25 metri tra gli elementi radianti e gli edifici prospicienti adibiti a permanenze di più di quattro ore) trovi la sua base nel principio di precauzione e nella specifica modalità di articolazione delle misure stesse, che non vietano in modo assoluto il posizionamento di una stazione radio base a distanze inferiori da quelle prescritte, ma vietano che nella linea di irradiamento principale dell’impianto radiante siano intersecate abitazioni poste a una distanza inferiore rispetto a quella stabilita. Si tratta, in definitiva, di criteri localizzativi che attuano un bilanciamento degli opposti interessi in gioco sicuramente ragionevole e proprorzionato.

     Né la parte ricorrente ha affermato e tanto meno dimostrato che tali criteri impediscono di fatto il completamento della rete.

     Inoltre la natura di criteri localizzativi e non di limiti alla localizzazione di queste distanze di rispetto è ulteriormente garantita dalla ”condizione” sopra apposta al riconoscimento della loro legittimità: si è al riguardo precisato, infatti, e va qui ribadito, che esse in tanto possono considerarsi legittime, in quanto sia in concreto sempre possibile una localizzazione alternativa, sicché le predette distanze di rispetto non sono tali da poter determinare l’impossibilità della localizzazione stessa: l’amministrazione comunale dovrà infatti consentire una deroga al divieto quando il gestore dimostri (in contraddittorio con gli uffici pubblici competenti) che non esiste una localizzazione alternativa capace di assicurare un risultato accettabile (anche si di qualità inferiore) di copertura di una determinata fascia territoriale.

     Analoghe considerazioni giustificano il rigetto delle censure rivolte avverso l’ulteriore prescrizione di divieto di installazione su coperture sulle quali prospettano direttamente unità immobiliari appartenenti allo stesso fabbricato adibite a luoghi di permanenza superiori alle quattro ore. Anche tale prescrizione si presenta legittima, siccome specifica e omogenea, nonché non irragionevole, secondo un principio di precauzione, non costituendo un limite alla localizzazione, ma un criterio localizzativo.

     Illegittima deve giudicarsi, invece, la previsione di divieto di installazione di più di due impianti per ogni condominio avente più di 6 unità immobiliari e di più di un impianto per quelli fino a 6 unità immobiliari. Questo divieto, infatti, mira a evitare gli effetti negativi della sovrapposizione dei campi elettromagnetici generati da una pluralità di impianti ubicati nello stesso luogo. Ma esso, in tal modo, elude le prescrizioni dell’allegato C al d.m. 381 del 1998 (oggi d.P.C.M. del 10 luglio 2003) dirette per l’appunto a realizzare la riduzione a conformità in caso di superamento del tetto di radiofrequenza consentito a causa della sommatoria di più campi elettromagnetici concentrati nello stesso luogo.

     Legittima è invece la misura di divieto di installazione di impianti a meno di 50 metri dalle strutture sanitarie e scolastiche. Soccorre sul punto testualmente la richiamata giurisprudenza costituzionale (sentenze 307/2003 e 331/2003) che ha giudicato legittima la previsione regionale di divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni "su ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido" e "in corrispondenza" delle aree "sensibili", in quanto previsione compatibile con la legge quadro n. 36 del 2001, perché non eccedente l’ambito di un "criterio di localizzazione", sia pure formulato in negativo. Si tratta, infatti, come osservato dalla Corte, di un criterio che comporta la necessità di una sempre possibile localizzazione alternativa, ma non è tale da poter determinare l’impossibilità della localizzazione stessa. La misura introdotta dal regolamento del comune di Napoli è sotto questo profilo sufficientemente specifica ed omogenea, poiché impone il limite distanziale solo rispetto a due precise tipologie di edifici (strutture sanitarie e scolastiche), e per ragioni di precauzione sorrette da ben più ampia e condivisa acquisizione medico-scientifica.

     Occorre adesso procedere all’esame delle ulteriori previsioni regolamentari censurate.

     E’ illegittimo l’articolo 7, nella parte in cui impone un onere aggiuntivo di euro 500 ad impianto, poiché in contrasto con l’articolo 93 del codice delle comunicazioni elettroniche. Il predetto articolo 93, infatti, rubricato Divieto di imporre altri oneri, prevede espressamente che le pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre, per l'impianto di reti o per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. Il comma 2 precisa altresì che Nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto, in base all'articolo 4 della legge 31 luglio 1997, n. 249, in conseguenza dell'esecuzione delle opere di cui al Codice, fatta salva l'applicazione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all'articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni ed integrazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettera e), del medesimo articolo, ovvero dell'eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui all'articolo 47, comma 4, del predetto decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507”.

     Parimenti illegittimo, per difetto di istruttoria, deve giudicarsi l’articolo 4, commi 6 e 7, nella parte in cui impone sistemi di telecontrollo a distanza e in automatico. E’ rimasta, infatti, non confutata la tesi difensiva di parte ricorrente, secondo cui si tratterebbe di tecnologie non disponibili allo stato delle conoscenze tecniche e/o comunque troppo onerosi.

     L’articolo 5 è invece legittimo, nella parte in cui prevede la verifica delle installazioni all’atto dell’attivazione degli impianti, nonché il compimento di prove sul campo, con conseguente termine per l’adeguamento (pena la decadenza dal titolo) in caso di emersione di dati non conformi a quanto autorizzato. Cade, invece, la previsione, contenuta sempre nell’articolo 5, di una preventiva sigillatura dei dispositivi di controllo, atteso che la previsione impositiva di tali sistemi di controllo, di cui all’articolo 4, è stata giudicata illegittima e annullata.

     E’ infondata la censura rivolta contro la disciplina del potere comunale contingibile e urgente a tutela della salute pubblica “in presenza di particolari concentrazioni di inquinanti o di rischi sanitari”, contemplato dall’articolo 9. Con la condizione implicita del rispetto dei generali canoni e limiti imposti dal diritto vivente all’esercizio di poteri straordinari d’urgenza. Parimenti legittima, siccome risolventesi in un rinvio all’allegato C al d.m. 381 del 1998 (vigente all’atto dell’adozione del regolamento), è la previsione della possibilità di adozione di misure atte a pervenire alla riduzione a conformità.

     La società ricorrente contesta, infine, le previsioni sanzionatorie recate dal regolamento impugnato (art. 9, commi 5 e 6), sia sub specie di revoca-sanzione del titolo in caso di reiterazione del superamento dei limiti di esposizione, sia sub specie di irrogazione di sanzioni pecuniarie amministrative (da euro 5.000 ad euro 25.000).

     In merito occorre distinguere la sanzione ripristinatoria, incidente sul rapporto autorizzatorio (revoca-sanzione o declaratoria di decadenza), dalla sanzione afflittiva. La prima è legittima, poiché di regola rientrante nel potere amministrativo autorizzatorio. La seconda è invece illegittima, in quanto violativa della riserva di legge scaturente dalla generale previsione dell’articolo 1 della legge 689 del 1981. Difatti, come chiarito dal parere del Consiglio di Stato, sez. I, 17 ottobre 2001, n. 885/2001, l’avvenuta abrogazione, ad opera del d.lgs. 267 del 2000, dell’articolo 106 del precedente testo unico n. 383 del 1934, impedisce, in mancanza di una norma primaria, di riconoscere al potere regolamentare comunale la potestà di introdurre ex novo sanzioni amministrative, ostandovi la riserva di legge desumibile dal comb. disp. degli artt. 23 e 25 Cost. (alla stregua della generale previsione dell’articolo 1 della legge n. 689 del 1981).

     In conclusione e in sintesi, riguardo alla “parte generale” dell’impugnativa, relativa al regolamento comunale, essa deve in parte accogliersi e in parte respingersi, nei seguenti termini:

     - è rigettata la censura di incompetenza/carenza di potere comunale ad emanare il regolamento impugnato;

     - è parimenti respinta la censura diretta a conseguire l’annullamento in toto della previsione del “piano delle installazioni”;

     - è invece illegittima e va annullata – con accoglimento del relativo mezzo di gravame - la previsione “retroattiva” relativa agli impianti esistenti (secondo cui i gestori devono assumersi l’impegno di dimettere o adeguare entro 18 mesi quelli – anche se già autorizzati - che non dovessero risultare conformi al piano approvato);

     - è altresì illegittima e va annullata la disciplina della procedura autorizzativa contenuta nell’articolo 3 nella parte in cui non prevede un termine perentorio per l’approvazione del piano, decorso il quale il piano medesimo si abbia per approvato;

     - ugualmente illegittima e da annullarsi è la previsione dell’articolo 3 che impone la specifica autorizzazione provinciale di cui all’articolo 3, comma 1, della legge regionale 24 novembre 2001, n. 14, per gli impianti di potenza superore a 100 W, ferma restando la necessità del separato titolo edilizio;

     - sono in parte legittime le particolari “prescrizioni” dettate dall’articolo 4; le relative censure andranno accolte solo nei limiti di seguito precisati: in particolare, è legittima la previsione per cui gli impianti devono essere installati in modo che gli edifici distanti da essi meno di 50 metri non siano interessati dal lobo principale di irradiazione delle antenne, ma a condizione che il comune consenta una deroga a tale divieto ove il gestore dimostri in contraddittorio l’impossibilità tecnica di una localizzazione alternativa;

     - è legittima altresì l’ulteriore prescrizione per cui gli impianti (ad eccezione delle microcelle) non possono essere installati a meno di 25 metri (distanza calcolata tra gli elementi radianti e gli edifici prospicienti ad essi più vicini) da edifici adibiti a civile abitazione, luogo di lavoro o comunque tali da comportare una permanenza umana (media) superiore alle quattro ore (di cui all’art. 4, comma 2. del d.m. – allora vigente – 10 settembre 1998, n. 381), sotto la stessa condizione sopra indicata;

     - è inoltre legittimo il divieto di installare impianti su coperture sulle quali prospettano direttamente unità immobiliari appartenenti allo stresso fabbricato adibite a loghi di permanenza superiori alle quattro ore, così come il divieto di installare impianti a meno di 50 metri dalle strutture sanitarie e scolastiche;

     - è invece illegittimo e va annullato il divieto di installare più di due impianti per ogni condominio avente più di 6 unità immobiliari e più di un impianto per quelli fino a 6 unità immobiliari;

     - è illegittima e va annullata la previsione secondo la quale tutti gli impianti devono essere muniti di un dispositivo di controllo continuo delle potenze elettriche di alimentazione, provvisto di interruttore automatico quando la potenza utilizzata risulti superiore a quella massima consentita, nonché di un sistema di trasmissione dati a un server remoto per il telecontrollo;

     - è in parte legittima la disposizione recata dall’articolo 5 che prevede la verifica delle installazioni all’atto dell’attivazione degli impianti, nonché il compimento di prove sul campo, con conseguente termine per l’adeguamento (pena la decadenza dal titolo) in caso di emersione di dati non conformi a quanto autorizzato. La previsione, sempre contenuta nell’articolo 5, relativa alla sigillatura dei dispositivi di controllo, cade in conseguenza dell’annullamento della previsione relativa alla apposizione dei predetti dispositivi di controllo.

     - è illegittimo e va annullato l’articolo 7 nella parte in cui stabilisce che gli oneri della procedura sono a carico del gestore e li quantifica in 500 euro;

     - è legittima (con conseguente rigetto delle connesse censure) la disposizione dell’articolo 9 che prevede che il Sindaco può esercitare i suoi poteri contingibili e urgenti a tutela della salute pubblica “in presenza di particolari concentrazioni di inquinanti o di rischi sanitari” e contempla altresì la possibilità di adozione di provvedimenti cautelari e delle misure atte a pervenire alla riduzione a conformità, come previsto dall’allegato al d.m. 381 del 1998 (vigente all’atto dell’adozione del regolamento). Ugualmente legittime sono le previsioni dei commi 5 e 6 relative alla revoca del titolo in caso di reiterazione del superamento dei limiti di esposizione.

     - è viceversa illegittima la previsione – non sorretta da idonea norma di legge primaria – della irrogazione di sanzioni pecuniarie amministrative da euro 5.000 ad euro 25.000.

     Occorre adesso procedere alla disamina dei motivi aggiunti diretti avverso i singoli atti provvedimentali adottati dal comune di Napoli in applicazione delle suesposte regole amministrative.

     Già con il ricorso principale la Vodafone ha altresì impugnato la nota prot. n. 2075 del 24 luglio 2003 con la quale il Dirigente del Servizio di progettazione e valutazione ambientale del comune di Napoli, in applicazione del Regolamento, ha rappresentato che l’ente “non potrà dare seguito ad istanze di autorizzazioni o denunce di inizio attività, relative ad installazioni di antenne per telefonia mobile che non siano comprese nel piano approvato delle installazioni di cui all’art. 2 del citato Regolamento”.

     Questa determinazione è legittima siccome conforme alla previsione regolamentare introduttiva del piano annuale delle installazioni (salvo il discorso dell’approvazione tacita del predetto piano per inutile decorso dei termini approvativi dal regolamento medesimo ivi specificati). Il relativo mezzo di impugnazione andrà dunque rigettato

     Con il primo atto di proposizione di motivi aggiunti depositato in data 28 novembre 2003 la società ricorrente impugna le note prot. nn. 3221, 3222, 3223, 3225, 3228, 3229, 3231, 3232, 3244, 3245, 3246, 3247, 3248, 3249 e 3250 del 22 ottobre 2003, nonché la nota n. 3383 del 31.10.2003, con le quali il Dirigente del Servizio ambiente del comune di Napoli, con riferimento alle denunce di inizio attività ovvero alle istanze inoltrate per la realizzazione di altrettante postazioni di antenne per telecomunicazione cellulare, ha comunicato che “sono sospesi i termini di cui alla denuncia di inizio attività, fino all’approvazione del piano. . . .delle installazioni, ai sensi dell’art. 2 del citato Regolamento”.

     Anche queste determinazioni, per gli stessi motivi ora riferiti riguardo alla precedente nota prot. n. 2075 del 24 luglio 2003, devono giudicarsi legittime, con le medesime avvertenze sopra enunciate rispetto al precedente capo d’impugnazione. Anche questo ricorso per motivi aggiunti andrà dunque rigettato.

     Identiche le conclusioni che devono valere per il secondo atto di proposizione di motivi aggiunti, depositato in data 19 dicembre 2003, con il quale la Vodafone contesta la analoga nota prot. n. 3457 del 6 novembre 2003 di comunicazione della sospensione dei termini di cui alla denuncia di inizio attività fino all’approvazione del piano . . . .delle installazioni, ai sensi dell’art. 2 del citato Regolamento”.

     Diverse devono invece essere le conclusioni relative al terzo atto di motivi aggiunti, depositato dalla società ricorrente il 10 maggio 2004. Qui viene impugnata la nota prot. 1111 del 31 marzo 2004 con la quale il Dirigente del Servizio ambiente del comune di Napoli ha diffidato la Vodafone dall’iniziare o riprendere i lavori per l’installazione di ventotto stazioni radio base nominativamente individuate, nonché “di qualsiasi altra stazione radio base che non sia conforme alle norme previste dal Regolamento comunale, attualmente vigente ad esclusione dell’art. 2, sospeso dal T.A.R. Campania con le suddette ordinanze”, nonché la nota prot. n. 1435 del 15 aprile 2004 con la quale il medesimo organo comunale, nel rilevare la non conformità al Regolamento comunale delle istanze e delle d.i.a. presentate dalla Vodafone e dirette a realizzare la Rete anche nella modalità UMTS (cd. Videofonia), ha diffidato “dal procedere all’installazione delle suddette stazioni radio base e di qualsiasi altro impianto che non siano conformi al citato Regolamento”. Questi provvedimenti devono infatti annullarsi dovendo il comune riesaminare la posizione di ciascun singolo impianto alla stregua del regolamento così come emendato a seguito della presente pronuncia giurisdizionale di parziale annullamento. L’amministrazione intimata dovrà infatti caso per caso riesaminare ciascuna domanda di autorizzazione e ciascuna denuncia di inizio di attività per verificare se il singolo impianto ricada o meno nei limiti distanziali di cui all’articolo 4 del regolamento, giudicati legittimi da questa Sezione.

     Identiche conclusioni di accoglimento, nei sensi dinanzi precisati, devono trarsi riguardo all’ultimo atto di motivi aggiunti depositato in data 7 luglio 2004, concernente la nota prot. n. 1733 del 6 maggio 2004 con la quale il Dirigente del Servizio ambiente del Comune di Napoli, nel rilevare la non conformità al Regolamento comunale delle istanze e d.i.a. presentate dalla Vodafone e dirette a realizzare la Rete anche nella modalità UMTS (cd. videofonia) diffida “dal procedere all’installazione delle suddette stazioni radio base e di qualsiasi altro impianto che non siano conformi al citato Regolamento” .

     Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di causa.

     P.Q.M.

     IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZIONE I^, definitivamente pronunciando sul ricorso e sugli annessi atti di proposizione di motivi aggiunti in epigrafe indicati, così decide:

     a) accoglie in parte il ricorso principale e, per l’effetto, annulla il regolamento del comune di Napoli per la disciplina delle procedure e della modifica degli impianti radioelettrici operanti tra le frequenze di 100 kHz e 300 GHz, approvato con delibera consiliare n. 104 del 18 giugno 2003, limitatamente alle previsioni degli articoli 3, 4 e 5, nei limiti e nei sensi specificati in motivazione, 4, commi 6 e 7, 7 e 8; rigetta l’impugnativa diretta avverso la nota prot. n. 2075 del 24 luglio 2003;

     b) respinge i ricorsi per motivi aggiunti depositati il 28 novembre 2003 e il 19 dicembre 2003;

     c) accoglie il terzo e i quarto atto di motivi aggiunti, depositati dalla società ricorrente il 10 maggio 2004 e il depositato in data 7 luglio 2004, nei termini di cui in motivazione;

     d) compensa per intero tra le parti e spese di causa.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Napoli nella Camera di Consiglio del 24 novembre e 1 dicembre 2004. 

Il Presidente 

Il Relatore

Ric. n 8576/2002 Reg. Gen.