REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

N.5935/2005

Reg.Dec.

N.  5725 Reg.Ric.

ANNO   2000

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da GIACALONE Domenico, rappresentato e difeso dall’avv.to Goffredo Garraffa ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, p.za Acilia, n. 4 (studio Funari);

contro

il Ministero dell’ Interno, e la Prefettura di Lecco costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’ Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio per legge presso la sede della stessa in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sez. I^, n. 2515/99 del 28.06.1999;

     Visto il ricorso con i relativi allegati;

     Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’ Interno e la Prefettura di Lecco;

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

     Visti gli atti tutti della causa;

     Nominato relatore per la pubblica udienza del 05.07.2005 il Consigliere Polito Bruno Rosario;

     Uditi per le parti l’ avv.to Garraffa e l’ Avvocato dello Stato Coaccioli;

     Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

     Con provvedimento del Direttore Generale dell’ Amministrazione Civile del Ministero dell’ Interno in data 11.02.1998 il dott. Domenico GIACALONE, Segretario Comunale titolare della Segreteria del Comune di Carenno - in relazione all’abbandono della sede di servizio a partire dal 12.07.1997 e previa diffida in data 7 novembre 1997 a riassumere servizio, rinnovata il 1° dicembre 1997 - era dichiarato d’ ufficio dimissionario dall’impiego in applicazione dell’art. 213 del t.u. 03.03.,1934, n. 383, come modificato dalla legge 26.06.1942, n. 851.

     Avverso detto provvedimento il dott. GIACALONE proponeva ricorso avanti al T.A.R. per la Lombardia.

     Dopo aver riassunto le vicende relative alla propria posizione di impiego presso i diversi comuni di assegnazione e da ultimo presso il Comune di Carenno, deduceva avverso il provvedimento di dimissioni di ufficio articolati motivi di violazione di legge e di eccesso di potere in diversi profili, sottolineando altresì l’inadempimento dell’ Amministrazione al pagamento delle spettanze retributive.

     Concludeva per l’annullamento del d.m. impugnato e per la condanna la pagamento degli emolumenti non corrisposti con interessi e rivalutazione monetaria.

     Con al sentenza di estremi in indicati epigrafe il T.A.R. per la Lombardia, Sezione I^, respingeva il ricorso.

     Avverso la pronunzia reiettiva il dott. GIACALONE ha proposto atto di appello per i seguenti motivi:

     - l’ Amministrazione, in violazione degli artt. 5, 6 e 8 della legge n. 241/1990 ha omesso di procedere alla formale nomina del responsabile del procedimento, dandone comunicazione al soggetto interessato;

     - non vi è stata, in osservanza di quanto prescritto dall’art. 59, quinto comma, del d.lgs. n. 29/1993, la preventiva contestazione di addebiti al dipendente, né lo stesso è stato sentito in merito alle inadempienze ascritte;

     - in ogni caso l’atto incidente sulla posizione di “status” del Segretario Comunale doveva essere assunto d’ intesa con il Sindaco del Comune di applicazione;

     - il rifiuto di rendere la prestazione lavorativa ha tratto ragione giustificativa nel mancato regolare pagamento delle competenze retributive, stante la natura  sinallagmatica delle prestazioni cha caratterizzano il rapporto di lavoro dipendente e la possibilità di rifiutare la prestazione in base al principio sancito dall’art. 1460, primo comma, cod. civ. in materia di adempimento dell’obbligazione;

     - il provvedimento di dimissioni d’ ufficio è carente di ogni motivazione in relazione alle condizioni in cui è avvenuta l’interruzione della prestazione lavorativa e costituisce, inoltre, una misura sanzionatoria eccessiva e sproporzionata in relazione alla qualità del destinatario mai in precedenza incorso il rilievi disciplinari.

     Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio ed ha chiesto al conferma della sentenza appellata facendo proprio l’ordine argomentativo ivi espresso con rinvio alle deduzioni già formulate nel giudizio di primo grado.

     All’udienza del 5 luglio 2005 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

     1). A miglior chiarimento e disamina dei motivi posti a sostegno dell’atto di appello è opportuno preliminarmente precisare che il provvedimento estintivo del rapporto di impiego del Segretario Comunale dott. GIACALONE Domenico è stato adottato in applicazione dell’art. 213 del t.u. 03.03.1934, n. 383.

     Stabilisce detta disposizione che “è dichiarato d’ ufficio dimissionario il segretario comunale che, senza giustificato motivo, non assuma o non riassuma servizio entro il termine prefissogli, ovvero stia assente dall’ ufficio per un periodo superiore a dieci giorni”. Si tratta di norma che, al pari dell’art. 127, lett. c), del t.u. sul pubblico impiego approvato con 10.01.1957, n. 3, è posta a presidio del principio di continuità dell’azione amministrativa - cui si collega l’obbligo del pubblico dipendente di garantire (salvo si versi in presenza di cause esonerative) con assiduità e senza interruzione la prestazione lavorativa - e che introduce una causa risolutiva di diritto del rapporto di lavoro in presenza di una condotta omissiva del dipendente a riassumere servizio entro il termine prescritto con formale atto di diffida, ovvero di assenza arbitraria protrattasi per la durata di dieci giorni.

     La fattispecie provvedimentale che segue alla constatazione dei presupposti previsti dall’art. 213 del t.u. n. 383/1934, non è quindi espressione della potestà disciplinare dell’organo pubblico – con ogni conseguenza quanto all’irrilevanza delle regole e garanzie procedimentali a tal fine previste ed ai limiti di sindacato della potestà discrezionale esercitata dalla P.A. – ma configura, come in precedenza accennato, una misura risolutiva del rapporto di impiego in base alla constatazione del dato oggettivo dell’assenza dal servizio in mancanza di causa giustificativa (“ex multis” Cons. St, Sez. VI^, n. 3153 del 17.05.2004; n. 1095 dell’11.10.1995).

     Si configurano, pertanto, infondate le deduzioni formulate nell’atto di appello ed in sede di note conclusive, con le quali si denuncia la violazione del principio di proporzionalità e gradualità che deve presiedere l’ esercizio della potestà disciplinare; la mancata osservanza delle regole procedimentali per l’irrogazione delle sanzioni (con specifico riferimento all’omessa notifica dell’atto di contestazione degli addebiti), nonché l’assenza di adeguata motivazione della scelta espulsiva, essendo l’atto di decadenza dall’impiego, come esattamente posto in rilievo dal T.A.R. Lombardia, “assoggettato (unicamente) allo schema procedimentale dell’art. 213 (del t.u. n. 383/1934), che prescrive solo la diffida a riassumere servizio entro un certo termine, alla quale fa seguito il provvedimento di decadenza nel caso in cui l’impiegato non adempia senza giustificato motivo”.

     2). Il dott. GIACALONE con un ulteriore ordine di considerazioni rinnova le doglianze di violazione degli artt. artt. 5, 6 e 8 della legge n. 241/1990 per la mancata nomina del responsabile del procedimento, dandone comunicazione al soggetto interessato.

     Sul punto giova precisare che, relativamente al d.m. 11.02.1998 nei cui confronti è stata proposta domanda di annullamento avanti al T.A.R. per la Lombardia, l’atto iniziale del procedimento si identifica nella nota a firma del Direttore Generale dell’Amministrazione Civile dell’interno di cui alla nota n. 17200.4810 del 07.1.1997, recante l’intimazione nei confronti del dott. GIACALONE a riassumere servizio, pena le dimissioni d’ufficio a termini dell’art. 213 del t.u. n. 338/1934, diffida poi rinnovata con successivo successiva nota del 01.12.1997.

     A mezzo di detti atti di diffida l’appellante è stato debitamente notiziato del procedimento in atto, delle disposizioni di legge rilevanti ai fini dell’applicazione della misura di decadenza dall’impiego, ed è stato posto in condizione di introdurre elementi giustificativi dell’assenza dal servizio, ovvero di garantire la prestazione lavorativa onde non incorrere nella causa estintiva del rapporto di lavoro.

     La mancata formale indicazione del funzionario responsabile del procedimento non esplica effetto viziante del provvedimento finale, poiché detto soggetto si identifica, in assenza di espressa designazione, con il funzionario posto al vertice dell’unità organizzativa dal quale l’atto proviene e nei cui confronti l’interessato, in base alle indicazioni che emergono nell’atto a lui comunicato, è posto in condizione di instaurare ogni utile contraddittorio nelle forme previste dall’art. 10 della legge n. 241/1990 (cfr. Cons. St., Sezione VI^, n. 3459 del 25.06.2002; n. 433 del 14.04.1999).

     3). L’appellante assume inoltre, con richiamo all’art. 52 della legge n. 142/1990, che prima di procedere all’adozione del provvedimento di decadenza doveva essere preventivamente acquisito il parere del Sindaco.

     Il motivo è infondato perché nella specie non si verte in tema di revoca ad iniziativa dell’ente locale della titolarità dell’incarico di segretario, ma di esercizio da parte del Ministero dell’ Interno della sfera di attribuzioni sulla posizione di stato del segretario comunale assegnato all’ente territoriale, mantenuta ferma, per effetto dell’art. 17. comma 78, della legge 15.05.1997, n. 127, fino al decorso di 120 giorni dall’adozione del regolamento attuativo della riforma del rapporto di lavoro, funzioni e nomina dei predetti funzionari introdotta dalla legge medesima.

     3).Il dott. GIACALONE, a giustificazione del periodo durante il quale non è stata assicurata la prestazione di lavoro, fa richiamo all’irregolare e non tempestivo assolvimento da parte dell’ Amministrazione dell’obbligo di retribuzione ed afferma di essersi avvalso dell’art. 1460 cod. civ. che, nei rapporti a prestazioni corrispettive, consente di rifiutare l’adempimento ove l’altra parte non adempia o non offra di adempiere contemporaneamente.

     Osserva la Sezione che il rapporto di pubblico impiego – anche nel quadro del progressivo processo di privatizzazione attuato dal d.lgs. 03.03.1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, con rinvio quanto alla sua disciplina alle fonti normative costituite dal capo I, titolo II, del libro V del codice civile, e dallo strumento del contratto collettivo – attrae nel suo ambito prestazioni rese per il perseguimento di scopi di rilievo pubblico, secondo i principi di buon andamento ed imparzialità, con prevalenza, quindi, delle esigenze di rilievo pubblico rispetto a quelle afferenti alla sfera del singolo impiegato, salvo espressa considerazione negli strumenti di disciplina dello stato giuridico.

     Ciò del resto discende dal principio di rilievo costituzionale (art. 97, primo comma, della Costituzione), in base al quale i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, che impone obblighi di assiduità e doverosità nella prestazione lavorativa non riconducibili in un rapporto di mera sinallagmaticità con l’ ente pubblico, peculiare alle obbligazioni a prestazioni corrispettive di natura strettamente patrimoniale.

     Deve quindi escludersi che il pubblico dipendente, con richiamo al principio che si enuclea dall’art. 1460 cod. civ., possa interrompere la prestazione lavorativa per il ritardato pagamento degli emolumenti, non essendo siffatta reazione contemplata nella speciale disciplina del rapporto e soccorrendo al riguardo i diversi mezzi di tutela per il pagamento, anche in via ingiuntiva, di quanto dovuto con reintegrazione della perdita patrimoniale per il ritardo nell’adempimento.

     All’infondatezza dei motivi segue il rigetto dell’appello.

     Le spese del giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello in epigrafe.

     Spese compensate.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez. VI - nella Camera di Consiglio del 5 luglio 2005 con l'intervento dei Signori:

Schinaia Mario Egidio  Presidente

Carmine Volpe   Consigliere

Giuseppe Minicone   Consigliere

Domenico Cafini   Consigliere

Bruno Rosario Polito   Consigliere relatore ed estensore. 

Presidente

MARIO EGIDIO SCHINAIA

Consigliere       Segretario

BRUNO ROSARIO POLITO    ANNAMARIA RICCI 
 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA 

il...21/10/2005

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA 
 

CONSIGLIO DI STATO

In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 

Addì...................................copia conforme alla presente è stata trasmessa  

al Ministero.............................................................................................. 

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 

                                    Il Direttore della Segreteria

 

N.R.G. 5725/2000


FF