N.7132/03Reg.Dec.
N.1575 Reg.Ric.
Anno: 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 1575/03, proposto da Olga GOGLIA, rappresentata e difesa dall’avv. Eliseo Laurenza, ed elettivamente domiciliata in Roma, v. le Parioli n. 67 (studio Lamberti),
contro
il Comune di Caserta, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio,
e nei confronti
di Francesco CIOFFI, non costituito in giudizio,
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, IV, 15 novembre 2002, n. 7198, resa inter partes, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto dall’attuale appellante avverso il silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione comunale intimata in ordine alla richiesta adozione di misure ripristinatorie dello stato dei luoghi antecedente all’esecuzione di lavori da parte del sig. Cioffi.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del 17 ottobre 2003 il Consigliere Gerardo Mastrandrea; udito per la ricorrente l’avv. Laurenza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. La ricorrente, proprietaria di un ampio vano al piano terra di un edificio, utilizzato come pasticceria da una ditta locataria, lamenta che a seguito dei lavori di ristrutturazione di un piccolo capannone sito nel cortile del fabbricato attiguo (di proprietà del sig. Cioffi) è stata interamente ostruita la finestra collocata da tempo immemorabile sul retro del laboratorio, di fondamentale importanza per l’areazione del locale e quindi per il mantenimento delle necessarie condizioni di salubrità e igiene.
2. Vista l’inerzia dell’Amministrazione, con atto di diffida notificato al Comune di Caserta il 28 settembre 1999, la Goglia ha formalmente intimato la stessa a voler provvedere, da un lato, all’annullamento dell’autorizzazione edilizia rilasciata in data 17 novembre 1995 in favore del Cioffi, nonché, dall’altro, a disporre in ogni caso, provvedendovi anche d’ufficio, il perfetto ripristino dello stato dei luoghi antecedente all’esecuzione dei lavori, con la relativa conseguente demolizione delle opere abusivamente realizzate.
3. Perfezionatosi il silenzio rifiuto dell’Amministrazione comunale, la sig.ra Goglia è insorta dinanzi al TAR della Campania per veder annullato il silenzio e comunque per l’accertamento e la dichiarazione dell’obbligo del Comune di Caserta di adottare e far eseguire i provvedimenti necessari per il ripristino dello stato dei luoghi antecedente all’esecuzione di lavori da parte del sig. Francesco Cioffi, con il riconoscimento del danno ingiusto subito.
In definitiva l’istante ha chiesto che il TAR dichiarasse illegittimo il silenzio serbato dal Comune di Caserta sulla diffida volta ad ottenere l’annullamento in autotutela dell’autorizzazione rilasciata al sig. Cioffi e la rimozione del muro in questione, oltre al ristoro del danno ingiustamente subito.
4. Il ricorso, tuttavia, non è stato accolto dal Tribunale di prima istanza adito, alla stregua delle sintetiche considerazioni che seguono.
Non era, in primo luogo, sufficientemente dimostrata, ad avviso dei giudici di primo grado, la correlazione fra i lavori assentiti dal Comune di Caserta con l’autorizzazione edilizia n. 155 del 1995, per la ristrutturazione del capannone, e l’avvenuta chiusura del vano finestra in questione da parte del sig. Cioffi.
In ogni caso, anche se tale chiusura fosse stata assentita dal Comune con la detta autorizzazione, ogni eventuale lamentela in proposito doveva considerarsi oramai tardiva in quanto avrebbe dovuto essere proposta nel termine decadenziale decorrente dalla avvenuta conoscenza del rilascio dell’autorizzazione o, comunque, dalla data di effettiva realizzazione del muro.
E il termine per l’impugnativa di provvedimenti amministrativi definitivi, anche se eventualmente illegittimi, non poteva essere riaperto attraverso la proposizione di istanze o diffide all’Amministrazione. Né sussisteva un obbligo per l’Amministrazione stessa, cui far corrispondere una pretesa del privato giuridicamente tutelata, di adottare in sede di autotutela, a distanza di anni dal rilascio, un provvedimento di annullamento di un’autorizzazione eventualmente illegittima.
Si aggiungeva inoltre, da parte dell’Organo giurisdizionale territoriale, che la realizzazione, a cura del vicino, del muro di chiusura del vano finestra si rivelava una tipica questione di diritti fra soggetti confinanti delibabile dal giudice ordinario, a cui in effetti la ricorrente, come si rilevava dagli atti, si era rivolta, senza peraltro ottenere le misure cautelari richieste ai sensi dell’art. 700 del c.p.c. (decisione del Tribunale Civile di Santa Maria Capua Vetere del 3 maggio1996).
5. Le argomentazioni del Tribunale campano, alla stregua delle censure dedotte in sede di appello, possono essere (pienamente) confermate nella prima parte ma, in ogni caso, non affrontano nel loro complesso il thema decidendum delineato dalla ricorrente e pertanto non risultano sufficienti per giustificare un responso di integrale rigetto delle pretese della parte attrice per come già affacciate in sede di atto formale di diffida ad adempiere.
Risponde a verità che l’autorizzazione edilizia andava tempestivamente impugnata e che a questo punto non sussiste l’obbligo dell’Amministrazione, seppur sollecitata dalla richiesta dell’interessata, di provvedere al riesame, in sede di esercizio del potere di autotutela, dell’assenso edilizio emesso.
Come è noto, infatti, l’istanza dell’interessato mirante ad ottenere il riesame da parte della Pubblica amministrazione di un atto autoritativo, non impugnato tempestivamente dal medesimo, non comporta la configurazione di un obbligo di riesame, in quanto tale obbligo inficerebbe, tra l’altro, le ragioni di certezza delle situazioni giuridiche e di efficienza gestionale che sono alla base dell’agire autoritativo della Pubblica Amministrazione e della inoppugnabilità dopo breve termine dei relativi atti.
Del resto la giurisprudenza amministrativa, ed in particolare il Consiglio di Stato, non ha mostrato particolare titubanza nell’affermare, in maniera persuasiva, che non sussiste obbligo di provvedere in capo alla Pubblica Amministrazione, idoneo a generare una fattispecie di silenzio rifiuto o inadempimento, in caso di mera proposizione di istanza volta ad ottenere il riesame di una situazione inoppugnabile (cfr., tra le tante, Cons. Stato, VI, 7 agosto 2002, n. 4135; V, 27 marzo 2000, n. 1765). La Pubblica Amministrazione resta, peraltro, libera di verificare se l’inoppugnabilità dei propri atti meriti o no di essere superata da successive valutazioni che tengano conto del decorso del tempo, delle esigenze di certezza dei rapporti giuridici e delle disponibilità di bilancio (principio affermato con precipuo riguardo ai rapporti di pubblico impiego, ai fini soprattutto di profili di inquadramento giuridico-economico).
6. Ma la ricorrente, in verità, ha adombrato, in maniera sufficientemente circostanziata, anche l’abusività delle opere che, messe in essere difformemente dal titolo di assenso edilizio, le avrebbero provocato effetti che all’evidenza si appalesano gravemente pregiudizievoli (basti vedere la documentazione fotografica versata in atti), tenuto conto anche dell’attività espletata nel vano locato (laboratorio artigianale di pasticceria).
Ciò posto, la Sezione è abilitata ad applicare principi già da tempo acquisiti in ordine all’inerzia della Pubblica Amministrazione nell’adozione di sanzioni e misure repressive edilizie, in disparte i nuovi ambiti conquistati nella materia de qua dalla giurisdizione del giudice amministrativo in sede esclusiva (in tema, ad esempio, di “comportamenti” della P.A.) e l’aggiornamento degli strumenti processuali messi a sua disposizione (in relazione al procedimento contro il “silenzio-rifiuto”).
E’, infatti, evidente che quando l’Amministrazione competente ometta di adottare, secondo i suoi doveri di ufficio, i necessari provvedimenti di ripristino dello stato dei luoghi e di difesa del pubblico interesse, in relazione a costruzioni abusive, ovvero li ritardi senza giustificazione, il terzo interessato - come il proprietario limitrofo, che nei confronti del potere amministrativo di repressione degli abusi edilizi è tra l’altro sempre titolare di un interesse qualificato al mantenimento delle caratteristiche urbanistiche assegnate alla zona - può non solo spiegare le azioni civili di demolizione e, se ciò non sia possibile, quelle risarcitorie, ma è al tempo stesso legittimato a impugnare la mancata adozione di misure ripristinatorie, e quindi l’inerzia formalizzata degli Organi comunali preposti, ovvero finanche l’illegittima comminatoria di una sanzione pecuniaria anziché demolitoria (e questo prescindendo, addirittura, da uno specifico danno per sottrazione di visuale, luce ed aria: v. già Cons. Stato, V, 27 marzo 1981, n. 113 e 10 ottobre 1984, n. 705).
In altre parole, poiché la P.A. ha il dovere di provvedere sugli abusi accertati, anche se talora ha la facoltà – piuttosto limitata – di scegliere le sanzioni da applicare e deve valutare situazioni particolari di fatto specie in relazione al tempo trascorso, sussiste un interesse del privato leso da opere abusive all’adozione delle sanzioni di legge.
Conseguentemente egli può pretendere quanto meno un provvedimento espresso sull’abuso circostanziatamente denunziato, in difetto di che può costituire nei modi ordinari, come avvenuto nella fattispecie, un silenzio-rifiuto di provvedere che è impugnabile (in quanto illegittimo siccome immotivato) nei modi normali, fino a costringere l’Amministrazione comunale all’emissione di un provvedimento espresso, che a sua volta sarà impugnabile ove ritenuto illegittimo.
L’ampia sfera dei poteri di polizia urbana attribuiti in materia urbanistica all’Amministrazione comunale non esclude, in altri termini, che rispetto ai singoli provvedimenti gli interessati siano portatori di un interesse legittimo: pertanto il proprietario di un’area o di un fabbricato, nella cui sfera giuridica incide dannosamente il mancato esercizio dei poteri ripristinatori e repressivi da parte dell’Organo preposto, è titolare di un interesse legittimo all’esercizio di detti poteri e può pretendere, se non vengono adottate le misure richieste, un provvedimento che ne spieghi esplicitamente le ragioni, con la definitiva conseguenza che il silenzio serbato sull’istanza e sulla successiva diffida dell’interessato integra gli estremi del silenzio-rifiuto sindacabile in sede giurisdizionale quanto al mancato adempimento dell’obbligo di provvedere espressamente (secondo i recenti dettami di Cons. Stato, A.P., 9 gennaio 2002, n. 1; la suddetta condivisibile ricostruzione è sostanzialmente rinvenibile già in Cons. Stato, V, 17 marzo 1978, n. 323).
E’ ovvio, però, che se gli interessati hanno titolo ad impugnare in sede giurisdizionale il silenzio rifiuto dell’Amministrazione sulla richiesta di emanazione di provvedimenti repressivi e di riduzione in pristino di opere abusivamente realizzate dal vicino, è legittimo pretendere (e questo nella fattispecie è avvenuto, seppur in maniera non del tutto soddisfacente) che vengano indicate in modo non generico la sussistenza e localizzazione dell’abuso (cosicché l’autore dello stesso, a cui è notificato il ricorso, acquista la qualità di controinteressato in senso tecnico e può esperire gravame avverso l’eventuale sentenza di accoglimento, anche in assenza di impugnativa da parte dell’Amministrazione comunale: Cons. Stato, V, 26 novembre 1994, n. 1381).
Tuttavia, va d’altra parte rilevato, ad ulteriore conforto della posizione dell’appellante, che, poiché la funzione di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, disciplinata negli articoli 4 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47, ed ora riordinata nel titolo IV del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, si esprime attraverso procedimenti che vengono avviati ad iniziativa dell’ufficio - ancorché l’esercizio del potere repressivo degli abusi possa essere sollecitato dalla denuncia dei cittadini (ora cfr. art. 27, comma 3, del testo unico) - ciò non vuol dire che, ai fini dell’accertamento dell’obbligo di provvedere da parte dell’Amministrazione, sia necessario che esista una perfetta corrispondenza tra quanto esposto nella denuncia e quello che sarà l’atto di avvio del procedimento repressivo-sanzionatorio, in quanto i fatti denunciati dal privato debbono pur sempre essere vagliati dall’ufficio sotto il profilo della loro esistenza materiale e della qualificazione giuridica della condotta attribuita al responsabile dell’abuso (cfr., da ultimo, Cons. Stato, V, 9 dicembre 2002, n. 6773).
In ogni caso, sotto il profilo processuale, l’esistenza dell’obbligo di provvedere va accertata, in relazione alla singola fattispecie, con riferimento al già accennato interesse specifico del ricorrente (qui sussistente) ad ottenere una pronuncia esplicita che consenta di rimuovere l’inerzia dell’Amministrazione.
Si può concludere, al riguardo, che in materia edilizia l’obbligo del Comune di provvedere sulle richieste dei cittadini non sussiste soltanto nel caso in cui essi chiedano un atto positivo in loro favore (concessione, autorizzazione ecc.), ma anche quando chiedano l’eliminazione di abusi edilizi o, comunque, il rispetto della normativa edilizia o di piani convenzionati, allorché abbiano a trovarsi in un rapporto diretto (proprietà o stabile dimora) con l’area sulla quale si realizza l’ intervento.
7. Rilevato, in definitiva, che la reclamante, titolare di una posizione qualificata e differenziata, è legittimata, e ne ha buon diritto, a lamentarsi del fatto che a fronte della sua circostanziata denunzia l’Amministrazione non si è in alcun modo espressa, né ha dato conto di aver avviato, almeno, un’attività istruttoria volta a verificare l’effettiva sussistenza degli abusi lamentati (non si può, tra l’altro, non evidenziare come l’autorizzazione edilizia n. 155/95 fosse espressamente condizionata al mantenimento inalterato dello stato dei luoghi), la Sezione, in accoglimento del gravame - introitato per la decisione in sede camerale in data 17 ottobre 2003 - e con conseguente riforma della sentenza appellata, dichiara l’obbligo del Comune di Caserta di provvedere, nei sensi sopra indicati, ai necessari accertamenti e all’adozione, in ogni caso, di un provvedimento espresso in ordine agli abusi denunziati.
Assegna per l’adempimento il termine di trenta giorni dalla comunicazione, o, se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza, salva la nomina, su richiesta dell’appellante, di un Commissario ad acta, in caso di ulteriore inadempienza.
Compensa tra le parti, sussistendone i motivi, le spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione, per l’effetto conformemente riformando l’impugnata sentenza di rigetto.
Spese di entrambi i gradi di giudizio compensate tra le parti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2003, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Alfonso Quaranta Presidente
Paolo Buonvino Consigliere
Goffredo Zaccardi Consigliere
Francesco D’Ottavi Consigliere
Gerardo
Mastrandrea
Consigliere est.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Gerardo
Mastrandrea f.to Alfonso Quaranta
IL SEGRETARIO
f.to Francesco
Cutrupi
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 7 novembre 2003
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Dirigente
f.to Antonio Natale
Ric. N. 1575-03
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