N.5869/2003

Reg. Dec.

NN.

6065/1989-1331/2000

Reg. Ric.  

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A     I  T  A  L  I  A  N  A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

     sui ricorsi in appello n. 6065 del 1989 e n. 1331 del 2000, proposti dalla Italcementi S.p.A., in persona del rappresentante legale, rappresentato e difeso dagli Avv. ti Nicolò Paoletti, Cesare Ribolzi e Bruno Lucchini, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma Via Barnaba Tortolini, n. 35.

CONTRO

     A. il Comune di Trento (il n. 6065 del 1989), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli Avv. ti Franco Mosna e Paolo Stella Richter, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma Via G. Mazzini, n. 11;

PER L’ANNULLAMENTO

     della sentenza del Tribunale regionale di Giustizia Amministrativa di Trento 2 marzo 1989, n. 45.

CONTRO

     B. il Comune di Trento (il n. 1331 del 2000), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli Avv. ti Franco Mosna e Paolo Stella Richter, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma Via G Mazzini, n. 11;

NONCHÈ

     Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dagli Avv. ti Patrizio Molesini e Rodolfo Giommini, elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma Via Domenico Mille Lire, n. 7.

PER L’ANNULLAMENTO

     della sentenza del Tribunale regionale di Giustizia Amministrativa di Trento 24 dicembre 1998, n. 523.

      Visti i ricorsi con i relativi allegati.

     Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Trento e della provincia di Trento, limitatamente al ricorso n. 1331 del 2000.

     Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese.

     Visti gli atti tutti della causa.

     Relatore alla pubblica udienza del 6 maggio 2003, il Consigliere Costantino Salvatore.

     Udito l’avv. M. Paoletti per la Italcementi su delega dell'avv. N. Paoletti;

     Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A  T T O

      1. Con ricorso al TRGA di Trento, la Italcementi S.p.A. esponeva di essere proprietaria in località Piedicastello del comune di Trento di un compendio nel quale svolge la sua attività produttiva, concentrata su uno stabilimento per la produzione di leganti idraulici, e su altri fabbricati industriali ed abitativi, nei quali sono esercitate le attività produttive (al momento limitate alla macinazione del clinker), distributive e commerciali, la cui regolare esecuzione rientra nei programmi a medio-lungo termine della società.

     Aggiungeva che nel vigente P.R.G. del Comune di Trento il complesso produttivo in questione era destinato, in parte a zona residenziale, in parte a verde pubblico e in parte a zona servizi, e che di recente il Comune, con deliberazione 20 ottobre 1987, n. 311 aveva adottato una variante di “tutela e salvaguardia”, con l’estensione di alcune aree a rischio idrogeologico, e la localizzazione sul suo insediamento di una generica ed indeterminata destinazione a servizi nell’ambito di un’Area di progettazione unitaria.

     Rappresentava ancora la società che, nelle more dell’approvazione di detta variante, con la deliberazione del Consiglio comunale di Trento 1 dicembre 1987, n. 380, l’area di sua proprietà era stata individuata per la localizzazione del polo di scolarità superiore, con contestuale dichiarazione di pubblica utilità delle opere da realizzare e di indifferibilità e urgenza dei relativi lavori.

     Le deliberazioni citate nonché tutti gli atti connessi, preordinati e consequenziali e, in particolare, la deliberazione del Consiglio comunale 1 dicembre 1987, n. 379, erano impugnate dalla società che deduceva violazione di legge ed eccesso di potere sotto i profili dello sviamento, del travisamento, del difetto dei presupposti, della mancanza di motivazione. Ad avviso della ricorrente, infatti, l’atto comunale era privo di causa tipica, perché atto alternativo ed equivoco, e non aveva rispettato la procedura prescritta per l’adozione della variante; localizzava un polo scolastico su area ancora industrialmente attiva, senza fornire la necessaria motivazione sulla scelta operata, che peraltro appariva irrazionale sotto il profilo urbanistico, economico e sociale; disattendeva il parere della commissione provinciale scolastica; dichiarava di pubblica utilità opere per le quali non era stato ancora predisposto il relativo progetto.

     Il Comune di Trento si costituiva in giudizio, eccependo in via preliminare l'irricevibilità del gravame e deducendo, nel merito, la sua infondatezza.

     Il TRGA, disattesa l’eccezione di irricevibilità, respingeva nel merito il ricorso con la sentenza n. 45 del 2 marzo 1989, contro la quale la Italcementi ha proposto il primo appello, chiedendone l’integrale riforma.

     Il Comune di Trento resiste all’appello.

     2. Con successivi ricorsi al TRGA di Trento, la Italcementi S.p.A. impugnava la deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 12238 del 13 ottobre 1989, di approvazione della variante di tutela e salvaguardia al P.R.G., nella parte concernente il “centro scolastico di Piedicastello”, le deliberazioni del consiglio comunale di Trento 20 ottobre 1987, n. 311, e 11 ottobre 1988 (ricorso n. 32 del 1990), nonché (ricorso n. 391 del 1991) la deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 13368 del 11 ottobre 1991, di approvazione del nuovo P.R.G. di Trento, nella parte in cui confermava la destinazione dell’area di proprietà Italcementi a polo per l’edilizia scolastica superiore, e le deliberazioni del consiglio comunale di Trento 246 del 5 luglio 1989 e  n. 124 del 6 marzo 1990.

     Ad entrambi i ricorsi resistevano sia il Comune di Trento che l’omonima Provincia Autonoma.

     Il TRGA, riuniti i due ricorsi, li respingeva entrambi con sentenza 24 dicembre 1998, n. 523, contro la quale la Italcementi ha proposto il secondo appello, chiedendone l’integrale riforma.

     Il Comune di Trento e l’omonima Provincia Autonoma si sono costituiti anche in questo grado del giudizio.

     Tutte le parti hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive con apposite memorie.

     Gli appelli sono stati trattenuti in decisione alla pubblica udienza del 6 maggio 2003.

D I R I T T O

     1. Gli appelli vanno riuniti per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva e vanno decisi con unica pronuncia.

     2. Con memoria del 24 aprile 2003, il Comune di Trento ha dedotto, in via preliminare, l’intervenuta cessazione della materia del contendere atteso che, con deliberazione 26 novembre 2002, n. 166, il Consiglio comunale ha adottato una nuova variante al P.R.G., con la quale la destinazione urbanistica dell’area in esame, è stata modificata da “zona servizi per l’istruzione superiore” a “zona C5- soggetta a interventi di riqualificazione urbana”, la cui disciplina è dettagliatamente indicata all’art. 42 delle NTA.

     In merito a tale richiesta, la difesa della Italcementi ha opposto che l’interesse della sua assistita permane anche dopo il mutamento della destinazione urbanistica, atteso che la declaratoria di illegittimità delle deliberazioni impugnate consentirebbe di valutare la possibilità di azionare una domanda ai fini risarcitori.

     Il Collegio ritiene che l’eccezione di sopravvenuta cessazione della materia del contendere debba essere disattesa, perché, come esattamente rileva la difesa della società, l’eventuale accoglimento dei ricorsi a suo tempo proposti potrebbe legittimare una richiesta di risarcimento dei danni.

     3. Le censure riproposte con i due appelli vanno esaminate congiuntamente, perché rivolte quasi interamente contro la variante di tutela e salvaguardia, adottata con le deliberazioni consiliari 20 ottobre 1987, n. 311, e 1 dicembre 1987, n. 379, ed approvata parzialmente con deliberazione della Giunta provinciale 13 ottobre 1989, n. 12238, e contro il nuovo PRG del Comune di Trento, adottato con deliberazioni consiliari 5 luglio 1989, n. 246, e 6 marzo 1990, n. 124, ed approvato con deliberazione della Giunta provinciale 11 ottobre 1991, n. 13368.

     Difatti, il ricorso n. 201 del 1988, respinto con la sentenza n. 45 del 2 marzo 1989, sebbene diretto anche contro le deliberazioni consiliari di adozione della variante di tutela e salvaguardia, in realtà contiene doglianze che investono solo la deliberazione consiliare 1 dicembre 1987, n. 380, di localizzazione nell’area della Italcementi del polo di istruzione superiore.

     3.1. Il primo motivo dell’appello avverso la sentenza n. 45 del 1989 ripropone la censura di illegittimità della deliberazione 1 dicembre 1987, n. 380, per la sua natura “ambivalente”, a contenuto alternativo, in violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi, con la quale il Comune avrebbe sovrapposto ambiguamente le due procedure, mentre più correttamente avrebbe dovuto prima procedere alla revoca della variante in itinere e poi adottare una nuova variante.

     Il motivo è infondato ed è stato correttamente respinto dal primo giudice.

     L’art. 14 della legge provinciale 4 novembre 1986, n. 29, recante norme per gli interventi in favore dell’edilizia scolastica, stabilisce, al comma 1, che “l’individuazione delle aree necessarie per l'esecuzione delle opere di edilizia scolastica, incluse e non nei programmi di cui alla presente legge, è disposta con deliberazione del consiglio comunale, previo parere di una commissione provinciale….”; al comma 8, che “le deliberazioni comunali di individuazione delle aree equivalgono a dichiarazione di pubblica utilità delle opere da realizzare, nonché di indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori”; al comma 10 che “l'individuazione di cui al primo comma su aree non conformi alle previsioni dello strumento urbanistico comunale costituisce adozione di variante dello strumento stesso soggetta all'approvazione prevista dalle vigenti leggi. Qualora siano prescelte aree per le quali il piano comprensoriale preveda una destinazione d'uso non compatibile con la realizzazione delle opere di edilizia scolastica, il comune trasmette la deliberazione di cui al comma 1 al comprensorio, il quale entro 30 giorni dalla ricezione è tenuto a pronunciarsi sull'area individuata. La pronuncia favorevole comporta, entro i successivi 40 giorni, l'adozione della variante allo strumento urbanistico secondo le vigenti procedure di legge”.

     Come emerge dalle richiamate disposizioni normative, la scelta delle aree necessarie per l’esecuzione delle opere di edilizia scolastica deve costituire oggetto di specifica deliberazione consiliare, alla quale il legislatore connette ex se la dichiarazione di pubblica utilità delle opere da realizzare, di indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori, nonché, ove le aree prescelte non siano conformi alle previsioni dello strumento urbanistico comunale, la natura di atto di adozione di variante dello strumento stesso soggetto all'approvazione prevista dalle vigenti leggi.

     Tale essendo il quadro normativo che regola la materia, nulla vietava al Comune di adottare, nelle more dell’approvazione della variante di “tutela e salvaguardia” di talune aree a rischio idrogeologico con contestuale destinazione dell’area Italcementi a servizi nell’ambito di un’area di progettazione unitaria, la specifica deliberazione di localizzazione dell’area per la realizzazione del polo scolastico superiore a norma del citato art. 14, comma 1.

     La precisazione che la natura di atto di variante connessa alla menzionata deliberazione di localizzazione dell’opera dovesse valere solo nel caso di mancata approvazione della variante generale allo strumento urbanistico, non implica alcuna ambivalenza né muta la sua causa tipica, che resta sempre e solo quella di individuare l’area sulla quale eseguire l’intervento di edilizia scolastica, determinazione alla quale la legge connette direttamente gli effetti avanti precisati.

     3.2. Il secondo motivo di appello è articolato in due profili: con il primo si deduce la violazione del procedimento tassativamente previsto per l'approvazione delle varianti al PRG; con il secondo si lamenta la mancanza di ogni motivazione in ordine alle nuove scelte urbanistiche, tanto più necessaria nel caso di specie poiché la Società appellante, esercitando “da tempo la propria attività produttiva e commerciale nell'ambito di scelte conformi alle esigenze sociali ed economiche della collettività, più volte recepite e fatte proprie dal Comune in svariate manifestazioni”, sarebbe titolare di un concreto affidamento sulla specifica destinazione dell'area de qua, non modificabile, dunque, se non previa dettagliata motivazione della nuova scelta.

     Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.

     Quanto al primo, è sufficiente osservare che la norma obbliga il comune a trasmettere l'atto di localizzazione dell’opera alla giunta provinciale per l'approvazione: prescrizione questa che nella specie è stata puntualmente adempiuta dal comune.

     La tesi della società, secondo cui non sarebbero state osservate le forme di pubblicità necessarie per consentire la presentazione di osservazioni da parte degli interessati, non considera che, nel caso in esame, si è in presenza non di una deliberazione “ordinariamente” diretta a variare uno strumento urbanistico, bensì di un atto che, per il suo contenuto specifico, non tende ad alcuna modifica urbanistica e che, solo in virtù di legge, assume il valore di variante allo strumento urbanistico ai limitati fini di consentire la realizzazione della specifica opera pubblica e per la sola zona interessata alla costruzione.

     Deriva da ciò che la specialità dell’effetto riconnesso dalla legge alla sua adozione si riflette anche sulla specialità del procedimento per la sua approvazione, che non coincide con quello ordinario di adozione ed approvazione di un vero e proprio strumento urbanistico o di una sua variante generale.

     3.3. A conclusioni negative deve pervenirsi anche a proposito del quarto motivo d’appello, con il quale si ripropone la questione dell’illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza dei lavori contenuta nella deliberazione impugnata.

       Il TRGA ha respinto il motivo di ricorso, osservando che, pur derivando l’effetto della dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza dei lavori dalla precisa disposizione contenuta nel comma 8 dell’art. 14 della legge provinciale n. 29 del 1986, in realtà l’indicata dichiarazione può avere efficacia operativa ai fini espropriativi solo a seguito dell’approvazione del progetto di opera pubblica, ed è solo da tale momento che si verifica la lesione della posizione giuridica soggettiva della società.

     Tale conclusione è pienamente da condividere, perché corrisponde sia alla ratio della disposizione normativa richiamata, sia ai principi generali che regolano la materia.

     Invero, la disposizione contenuta nell'art. 14, ottavo comma, della legge provinciale 4 novembre 1986, n. 29 - secondo cui le deliberazioni comunali d’individuazione delle aree equivalgono a dichiarazioni di pubblica utilità delle opere da realizzare, nonché di indifferibilità ed urgenza dei relativi lavori - va interpretata alla luce dei principi generali in materia espropriativa e di opere pubbliche, per i quali gli effetti di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, essendo riferiti ad un'opera pubblica specifica, presuppongono necessariamente l'avvenuta individuazione degli elementi essenziali dell’opera stessa, il che avviene sotto il profilo giuridico solo con la definitiva approvazione del progetto di massima da  parte dell'autorità competente.                                                          

      In tale contesto interpretativo, l’affermazione che l’effettiva lesione della posizione soggettiva della società si produce solo al momento dell’approvazione del progetto dell’opera, altro non significa – pur mancando un’espressa statuizione in questo senso - che il motivo è stato ritenuto non infondato, ma inammissibile per mancanza di una lesione attuale e concreta.

      4. Il terzo motivo d’appello - articolato sotto i profili della violazione di legge, dell’eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti, illogicità e difetto di motivazione – investe la scelta dell’area che sarebbe illogica ed irrazionale vuoi per l’inidoneità del sito prescelto, anche in contrasto con il parere della competente commissione provinciale, vuoi per i costi che l’amministrazione dovrebbe affrontare per rendere l’area idonea a sopportare la realizzazione del polo per l’istruzione superiore.

     Il motivo è stato respinto sotto tutti i profili dal giudice di primo grado, in primo luogo perché con esso la società finisce per sollevare censure di vero e proprio merito amministrativo; in secondo luogo e con riferimento al parere della commissione provinciale perché, diversamente da quanto sostenuto dalla società, dall’esame dei relativi verbali emerge non un parere negativo in ordine ai due siti indicati dall’amministrazione, bensì solo talune perplessità sul carattere ottimale della scelta dei due siti.

     Il motivo, che è stato sostanzialmente riproposto in questo grado, va esaminato congiuntamente ai motivi d’appello sollevati contro la sentenza n. 523 del 24 dicembre 1998, con la quale sono stati respinti i ricorsi diretti, rispettivamente contro la deliberazione provinciale di approvazione della variante e contro quella di approvazione del nuovo PRG del comune.

     E’ chiaro, infatti, che il terzo motivo dell’appello n. 6065/1989, diretto, come è stato precisato in precedenza, contro la deliberazione n. 380 del 1987, di localizzazione dell’opera, va esaminato nel quadro delle censure rivolte contro la variante urbanistica, ormai approvata, nell’ambito della quale la contestata previsione dell’opera medesima si colloca non come episodio isolato, ma come elemento significativo della più ampia riqualificazione urbanistica della zona.

    Così delimitato l’ambito entro il quale vanno esaminate le doglianze dedotte dalla società, esse sono infondate perché finiscono per interferire, ben più di quelle rivolte contro la singola delibera di localizzazione, nel merito delle scelte urbanistiche di esclusiva pertinenza dell’amministrazione comunale.

     4.1. Le questioni sollevate afferiscono tutte alla esatta delimitazione dei poteri di pianificazione urbanistica del comune in sede di adozione di variante al piano regolatore generale, e vanno risolte alla luce dei principi enunciati da questo Consiglio di Stato in fattispecie analoghe (ex pluribus C.d.S., sez. IV, 16 marzo 2001, n. 1567; sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2934; sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2639; A. P., 22 dicembre 1999, n. 24), cui si rinvia a mente dell'art. 9, l. 21 luglio 2000, n. 205.

     E’ stato, difatti, affermato, per un verso, che le scelte effettuate dall'amministrazione all’atto dell'adozione del piano costituiscono apprezzamenti di merito sottratte al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità, e per altro verso, che in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dell’amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali – di ordine tecnico discrezionale - seguiti nell’impostazione del piano stesso (cfr. C.d.S., Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV, 19 gennaio 2000, n. 245; sez. IV, 24 dicembre 1999, n. 1943; sez. IV, 2 novembre 1995, n. 887, sez. IV, 25 febbraio 1988, n. 99), essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni.

     Tali evenienze sono state ravvisate nel superamento degli standards minimi di cui al D.M. 2 aprile 1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore deve essere riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; nella lesione dell'affidamento qualificato del privato, in ragione dell’esistenza di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su una domanda di concessione (Ad. Plen. n. 24 del 1999, cit.; 8 gennaio 1986, n. 1) ovvero nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo (C.d.S., sez. IV, 9 aprile 1999, n. 594).

     Ai fini della legittimità di una variante è perciò sufficiente, sotto il profilo della motivazione e dell’istruttoria, l’accertata esistenza di problematiche, anche di ordine generale, purché concrete ed attuali, non arbitrarie o illogiche, che incidono in senso negativo sulle condizioni di vita dell’intera cittadinanza o di parte di essa, problematiche che medio tempore si siano aggravate, non essendo per contro necessaria una rinnovata indagine su ogni singola area al fine di giustificarne la sua specifica idoneità a soddisfare esigenze pubbliche.

     In base a tale orientamento, riaffermato anche di recente (C.d.S., Sez. IV, 6 maggio 2003, n. 2386; 6 febbraio 2002, n. 6064; 25 luglio 2001, n. 4077; 14 giugno 2001, n. 3146; 8 maggio 2000, n. 2639), per una più penetrante motivazione non è sufficiente la semplice preesistente possibilità edificatoria, poiché, in questo caso, il mutamento di destinazione trova esauriente giustificazione, in linea con quanto previsto dall’art. 10, comma 7, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nelle “sopravvenute ragioni che determinino la totale o parziale inattuabilità del piano o la convenienza di migliorarlo”.

     4.2. Alla stregua dei principi avanti richiamati, si deve escludere che, nel caso in esame, la società sia titolare di una particolare e qualificata posizione soggettiva tale da richiedere una penetrante e specifica motivazione della diversa destinazione dell’area di sua proprietà.

     Per espressa ammissione della società (pag. 21 dell’appello proposto contro la sentenza n. 523 del 1998), l’area di sua proprietà, secondo lo strumento urbanistico del 1968 e vigente alla data d’adozione della contestata variante, aveva una destinazione a verde pubblico per mq. 53.000, un’ulteriore destinazione a verde (privato) per mq. 16.000 ed, infine, una destinazione residenziale per mq. 5.000. Questa destinazione  residenziale, applicando l’indice volumetrico previsto dall’art. 5 delle N.T.A., consentiva di sviluppare una volumetria pari a circa 25.000 mc., mentre la volumetria attuale del complesso Italcementi è di 312.000 mc..

     In tale contesto urbanistico, ad avviso della società, mancherebbe qualsiasi utilità economica per un’operazione urbanistica che tendesse a convertire gli edifici industriali in residenziali e commerciali, atteso che il solo costo di demolizione delle strutture esistenti sarebbe di gran lunga superiore all’utile ricavabile dallo sviluppo della suddetta edificabilità.

     Come si vede, dell’intera area è destinata all’edilizia residenziale solo il 7% con la possibilità di sviluppare una cubatura pari a circa l’8% di quella esistente. Ciò che dimostra come, nella specie, non ricorre quella particolare posizione qualificata del privato che richiede una specifica motivazione della diversa destinazione urbanistica che l’amministrazione comunale ha inteso dare all’area in sede d’adozione di variante generale al PRG.

     5. Tutte le altre doglianze, diffusamente esposte anche per contestare le affermazioni del giudice di primo grado, finiscono per sindacare il merito delle scelte dell’amministrazione e come tali, sono, prima ancora che infondate, inammissibili.

     A tale tipo di censura sono da ascrivere le ripetute critiche sull’oggettiva e materiale incompatibilità del sito prescelto per la localizzazione del polo scolastico superiore vuoi per gli ingenti costi che richiederebbe la necessaria e preventiva sistemazione della zona anche dal punto di vista della viabilità sovracomunale, vuoi per l’assoluta insussistenza del presupposto costituito dall’aumento della popolazione scolastica vuoi, infine, per il parere certamente non positivo espresso dall’apposita commissione provinciale e per le indicazioni dettate dal PUP.

     Con riferimento al primo profilo, la tesi della società non considera che la localizzazione del polo scolastico, dopo l’approvazione della variante di tutela e salvaguardia e del nuovo PRG, non costituisce più oggetto di una manifestazione di volontà episodica relativa alla realizzazione di una singola opera pubblica, ma si inserisce nel più ampio quadro di riqualificazione dell’intera area ed è, quindi, sorretta dalla motivazione più generale sulla scelta urbanistica del comune.

     Quanto all’aspetto dei costi, è sufficiente osservare che si tratta di questione che dispiegherà tutta la sua rilevanza in sede di attuazione del piano, mentre non assume specifico rilievo a livello di pianificazione generale.

     Con riguardo alla questione sulla natura, positiva o negativa, del parere espresso dall’apposita commissione provinciale, si deve convenire con le conclusioni del primo giudice, secondo cui le perplessità manifestatesi nelle riunioni circa i due siti indicati dal comune attengono alla loro ottimale idoneità a soddisfare le finalità perseguite dall’amministrazione. Senza considerare, poi, che anche su questo punto finisce per svolgere un ruolo decisivo l’intervenuta approvazione della variante, essendo evidente che, avendo ricevuto tutta l’area di proprietà della Italcementi una destinazione a servizi, la localizzazione del polo scolastico all’interno di detta area diventa conforme alla destinazione urbanistica e non richiede una specifica motivazione diversa da quella che l’amministrazione ha addotto per la riqualificazione della zona al dichiarato fine di “contemperare nel medesimo ambito urbanistico l'insediamento di un polo scolastico superiore e la riorganizzazione urbanistica del tormentato quartiere di Piedicastello, allo scopo di ricucire le lacerazioni che gli interventi di viabilità sovracomunale gli hanno inferto”.

     Anche per quel che concerne l’asserito contrasto con il PUP, non si può convenire con l’assunto della società appellante.

     Come anche su questo punto ha correttamente rilevato il primo giudice, diversamente da quanto sostenuto dalla società, "la dichiarazione programmatica contenuta nella relazione al PUP, nella quale si raccomanda di riutilizzare prioritariamente, per il realizzo di scuole superiori, le strutture già esistenti a Trento”, integra solo una mera esortazione alle amministrazioni comunali di utilizzare in via preferenziale le strutture scolastiche già esistenti per la realizzazione di scuole superiori, esortazione che ben può essere disattesa allorché, come nella specie, sussistano ragioni obiettive per la riqualificazione dell’intera zona in conformità alle scelte ampiamente discrezionali del comune.

     5.1. Resta da esaminare la questione dell’asserito mancato contemperamento tra l’attuale destinazione industriale dell’area e quelle impressa dalla variante che, ad avviso della società, sarebbe del tutto mancato.

    Al riguardo, conviene ricordare che dalla documentazione acquisita agli atti d’ufficio, si evince che, mediante la “variante di tutela e salvaguardia”, l’amministrazione si prefigge la riorganizzazione urbanistica del tormentato quartiere di Piedicastello, allo scopo di ricucire le lacerazioni che gli interventi di viabilità sovracomunale gli hanno inferto e, in tale quadro, ha ritenuto opportuno contemperare nel medesimo ambito urbanistico l'insediamento di un polo scolastico superiore.

     Rispetto a questa scelta di ordine “politico- amministrativo”, che, in linea astratta, risponde allo schema tipico della variante (“la convenienza di migliorarlo”), non è illogica né incoerente la scelta di destinare a riqualificazione urbanistica l’intera area di proprietà della società, al fine di assolvere le finalità di pubblico interesse individuate e perseguite dall’amministrazione, quali in particolare quello di assicurare alla collettività insediata nel territorio comunale migliori condizioni di vivibilità.

     Difatti, l’amministrazione fruisce di un’ampia discrezionalità nel definire la tipologia delle utilizzazioni delle singole parti del territorio e che le scelte effettuate non sono sindacabili, salvo che risultino incoerenti con l’impostazione di fondo dell’intervento pianificatorio o manifestamente incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio. Con la conseguenza che la preesistente modalità di  utilizzazione dell’area si presenta insufficiente a dimostrare il vizio di eccesso di potere, poiché anche l’attività imprenditoriale, agricola o non agricola, è soggetta a subire le limitazioni e i condizionamenti imposti da esigenze di carattere urbanistico. Fermo restando, beninteso, il diritto all’indennizzo, ove si pervenga all’espropriazione delle aree sulle quali l’attività è esercitata (C.d.S, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3146).

     6. Alla luce delle considerazioni che precedono, le quali valgono anche per disattendere le questioni prospettate in merito alle osservazioni, gli appelli devono essere respinti.

     Le spese del grado vanno regolamentate secondo il principio della soccombenza. Esse sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riuniti gli appelli in epigrafe specificati, definitivamente pronunciando sui medesimi, li respinge.

      Condanna la società appellante al pagamento in favore delle amministrazioni appellate delle spese del grado, che liquida in tremila euro per il Comune di Trento e in tremila euro per la Provincia di Trento.

     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

     Così deciso in Roma addì 6 maggio 2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei signori:

      Stenio Riccio     Presidente

      Costantino  Salvatore    Consigliere est.

      Dedi Rulli     Consigliere

      Giuseppe Carinci    Consigliere

      Carlo  Saltelli    Consigliere

      L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE  

IL SEGRETARIO

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

06/10/2003

(Art.55, L. 27.4.1982 n. 186)

          Il Dirigente

- - 

NN.R.G.

6065/1989-1331/2000


rl