REPUBBLICA ITALIANA sent. 309/04/R
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n.296/R del registro di segreteria ad istanza del Procuratore regionale presso questa Sezione
nei confronti
di BULIAN Giovanni, elettivamente domiciliato in L’Aquila alla Via S.Agostino n.25 presso lo studio dell’Avvocato Pasquale Bafile che lo rappresenta e difende;
Visti gli atti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 17 giugno 2003 con l’assistenza del Segretario Signora Silvana Ciatti , il relatore Cons.Luciano Calamaro, l’Avvocato Bafile per il convenuto e il Pubblico Ministero in persona del Vice Procuratore Regionale Prof.Giuseppe Palumbi.
Ritenuto in
FATTO
Con atto di citazione depositato presso la Segreteria della Sezione in data 3 dicembre 2002, il Procuratore regionale presso questa Corte, sedi periferiche e del numero di persone cui si sarebbe potuto conferire ha evocato in giudizio BULIAN Giovanni, per sentirlo condannare, al pagamento, in favore all’Erario della somma di euro 35.814, 60 oltre interessi legali, rivalutazione monetaria e spese di giudizio.
Espone in fatto la parte attrice che, a seguito di ispezione disposta nell’anno 2000 dal Ministero dei beni ed attività culturali presso la Soprintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici per l’Abruzzo, con sede in L’Aquila, emergevano varie irregolarità, tra le quali un’ anomala fornitura di circa 65 telefoni cellulari.
In quella circostanza, gli ispettori avanzavano l’ipotesi che l’acquisizione discendesse da un contratto di leasing, precisando che il relativo atto formale non era stato rinvenuto; denunciavano anche la detenzione di alcuni apparecchi da parte di tre dipendenti, nonostante la palese, intervenuta cessazione delle ipotetiche esigenze di servizio per effetto del loro trasferimento dalla sede di L’Aquila.
Alla predetta relazione venivano allegate alcune fatture, nonché l’ordine di servizio n.640 del 10 gennaio 2001 adottato dal Soprintendente pro-tempore Arch. Bulian Giovanni, e contenente disposizioni in ordine alle urgenti misure “per il superamento delle problematiche circa l’impiego dei telefoni cellulari portatili, per la regolarità delle spese sostenute e l’economicità delle stessa”, mediante il quale, sostanzialmente, si provvedeva al ritiro di tutti gli apparecchi distribuiti, con riserva di specifica ridistribuzione ai soli funzionari richiedenti e per esigenze temporalmente delimitate e motivate.
Ugualmente, venivano allegati l’elenco del personale che aveva provveduto alla restituzione e la circolare ministeriale del 17.10.1997, contenente le disposizioni restrittive sull’uso delle apparecchiature di telefonia mobile e sui relativi limiti, emanata alla stregua della direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri in data 11.4.1997.
Tali atti pervenivano alla Procura regionale in data 26 aprile 2001, contemporaneamente alle note di controdeduzioni del 20 aprile 2001, a firma del Soprintendente pro tempore, Arch.Giovanni Bulian, il quale , per lo specifico indicato profilo, precisava che gli apparati precedentemente distribuiti erano stati restituiti all’Ente, in attesa di disposizioni per la convalida dell’acquisto effettuato.
Accertata così la provenienza degli stessi apparati, il requirente dava incarico di ulteriori accertamenti al Nucleo regionale di Polizia Tributaria per l’Abruzzo, il quale produceva in data 29 agosto 2002 una specifica relazione.
Da questa si evinceva che la Omnitel S.p.A. aveva fornito, tra l’anno 1999 ed il 2000, settanta telefoni cellulari, oltre uno in omaggio, cinque dei quali ordinati dal sostituto del Soprintendente, mentre i restanti risultavano ordinati da quest’ultimo, che aveva stipulato anche i relativi contratti di utenza.
Tutti gli apparati risultavano in grado di trasmettere dati e fax in connessione Internet, mentre contemporaneamente ai primi cellulari, vennero acquisiti anche 15 diversi apparati per la trasmissione in via telematica dei dati e dei fax.
Inoltre, mentre in un primo momento soltanto 14 utenze consentivano l’approdo all’intera rete nazionale, successivamente per tutte venne prevista accessibilità ampia ed indiscriminata a tutte le prestazioni in ambito nazionale.
Tra le acquisizioni documentali, figuravano, inoltre i tabulati riepilogativi delle utenze, in relazione alle quali parte attrice deduce l’impossibilità di distinguere tra chiamate motivate con ragioni di servizio, e non, stante l’elisione dal tabulato riepilogativo delle ultime cifre, in relazione alle vigenti disposizioni sulla tutela della riservatezza.
Soggiunge il Procuratore Regionale che appariva comunque evidente che gran parte delle chiamate risultava con sicurezza effettuata verso destinatari diversi dalla rete “aziendale”.
La dichiarazione delle avvenute comunicazioni per motivi di servizio è stata apposta dal Soprintendente su tutte le ricevute telefoniche indipendentemente dalla provenienza della richiesta d’acquisto, mentre per n.16 apparecchi cellulari, ufficialmente abilitati ad effettuare telefonate private, i rispettivi detentori ricevevano direttamente dal gestore le rispettive fatture di pagamento.
A seguito della menzionata sospensione della distribuzione, le utenze venivano disdette.
La Soprintendenza, peraltro, corrispondeva i costi del canone anche per i due mesi successivi e fino al 2.2.2002.
Soggiunge parte attrice che il Soprintendente ebbe a chiedere al Ministero la ratifica (rectius, convalida in sanatoria) dell’intero acquisto, ricevendone risposte puntualmente rispettose della direttiva presidenziale e di implicita censura dell’iniziativa, in quanto non ricondotta tempestivamente al preventivo vaglio dell’indirizzo politico.
Conclusivamente, l’ispezione accertava che l’acquisizione e la somministrazione diffusa degli apparati di telefonia cellulare, aveva consentito l’ingiustificata ed ampia utilizzazione degli apparati anche da parte di personale permanentemente utilizzato in sede, e, comunque, a livelli operativi incongrui rispetto alle restrizioni prescritte.
La Procura Regionale considerando palese il travalicamento dei limiti posti, in un quadro di efficienza e di economicità, all’impiego di uno strumento portatile ausiliare rispetto al ricorso all’ordinaria rete telefonica, per di più dissipativamente, irrazionalmente ed improduttivamente profuso, invitava l’Arch.Giovanni Bulian, soprintendente pro tempore della S.B.A.A.A.S. dell’Aquila, cui andava riferito l’acquisto, ed il Sig.Lucio Crosta, espressamente richiamato dal Soprintendente come principale referente della provvista nell’ambito della struttura, a produrre le deduzioni previste dall’art.5, legge 14 gennaio 1994, n.19.
Ambedue producevano tempestivamente le proprie difese.
Sostiene in diritto parte attrice, che l’accettazione delle proposte del gestore degli apparecchi cellulari di telefonia mobile operata e convalidata, personalmente, dal Soprintendente della S.B.A.A.A.S. dell’Aquila, Arch.Giovanni Bulian, e proseguita con pari accentrata gestione della distribuzione degli stessi telefoni nonché del relativo ritiro, conferiscono alla posizione del Sig.Lucio Crosta, in riferimento alle sue attribuzioni e competenze, un ruolo del tutto marginale.
Dagli atti ispettivi e dagli accertamenti direttamente esperiti, la Procura regionale desume la diretta e personale responsabilità del Soprintendente in ordine all’acquisto, che definisce trasmodante rispetto alle effettive necessità, degli apparati cellulari in questione.
Tenuto conto dei limiti ordinariamente stabiliti dalle direttive governative in materia di uso di apparati cellulari, gli accertamenti, secondo parte attrice, hanno consentito di escludere la configurabilità di un’utilitas per gran parte degli apparecchi distribuiti, in riferimento alla dispersiva profusione della loro assegnazione, sicchè l’affermata ponderazione delle esigenze da parte del Soprintendente è stata assolutamente smentita dall’uso consentito a favore di soggetti le cui competenze ed attribuzioni, così come il luogo e le modalità del loro espletamento, escludevano una benché minima esigenza del relativo impiego.
Essa risulterebbe, inoltre, sconfessata dal sopravvenuto ritiro delle apparecchiature e dalla loro oggettiva inutilizzazione, dalla quale scaturisce la conferma di una acquisizione superflua ed onerosa.
Alla stregua di tali premesse, le deduzioni prospettate dall’ex Soprintendente non apparirebbero persuasive.
Inoltre la collocazione e dislocazione di beni sottoposti a tutela in Abruzzo non differirebbe da quella della generalità del Paese, e, quindi, non potrebbe essere invocata come eccezionale rispetto a quella generale, come risulta già valutata dall’Amministrazione centrale responsabile dei criteri organizzativi del settore.
Quest’ultima avrebbe recisamente smentito la possibilità di una indiscriminata politica di ramificazione delle comunicazioni, in risposta al quesito prospettato dal predetto Soprintendente, come si evincerebbe dal tenore della note di servizio; inoltre, se si fosse prestata la dovuta ottemperanza alle direttive, il quesito avrebbe dovuto precedere e non seguire l’acquisto.
L’implicita ammissione della dispersiva acquisizione, sarebbe altresì, costituita dalla comunicazione dell’intervenuto ritiro degli apparecchi cellulari, che confermerebbe tanto l’eccessività dell’operazione, quanto l’ingiustificato addebito dei canoni.
D’altronde, la presenza di nove sedi distaccate avrebbe potuto giustificare lo stesso acquisto soltanto in minima parte, tenuto conto dell’esistenza contemporanea di una efficiente rete telefonica.
L’affermata esistenza di una ricerca di mercato, asseritamente deferita ai dipendenti della S.B.A.A.A.S., non avrebbe trovato riscontri documentali e,anzi, risulterebbe (dalle deduzioni del Sig.L.Crosta) prevenuta dall’acquisizione dell’offerta in atti, mentre nessun atto di controllo sarebbe stato efficacemente disposto.
L’ assegnazione al personale dislocato in periferia sotto la motivazione della “scorrevolezza”, secondo parte attrice, si appaleserebbe inspiegabile, così come l’accantonamento “in riserva” di altri cellulari.
D’altra parte solo un circoscritto numero (15) di dipendenti sottoscrisse con il gestore un contratto parallelo per la telefonia privata, mentre la asseritamente divisata trasformazione del contratto, in modo da limitare le telefonate alle chiamate interne, non sarebbe stata attuata, ma venne di fatto realizzata per tutti, medio tempore, fino a consentire ogni possibilità di connessione nazionale.
Inoltre, il contestare, come si è fatto nelle deduzioni difensive, l’imputazione del pagamento di canoni non corrispondenti all’effettiva utilizzazione degli apparati sotto l’argomentazione che, in difetto di pagamento, si sarebbero dovuti restituire i telefoni cellulari ai sensi di contratto, non farebbe, secondo la parte attrice, che evidenziare un’ulteriore conseguenza della fattispecie dannosa riferibile, come le altre, al predetto Soprintendente.
Non sarebbe fondata su illazioni, bensì su accertamenti, la circostanza che il personale stabilmente in servizio presso la sede ed adibito ad attività di carattere interno, fu ugualmente dotato degli apparecchi.
Priva di contenuto, inoltre, si appaleserebbe la contestazione difensiva dell’entità della spesa sostenuta, la cui portata pregiudizievole avrebbe dovuto essere calcolata, secondo l’attore, raffrontandola previamente con i costi della telefonia fissa.
Invece nessun controllo sul contenimento di quest’ultima risultò effettuato, per cui non assumerebbe consistenza la deduzione difensiva secondo cui ogni eccesso eventualmente verificatosi nell’uso della telefonia fissa finirebbe col giustificare un criterio d’acqusto di cellulari palesemente gravoso.
Anche la dichiarazione di autoresponsabilità apposta nelle singole fatture di pagamento dai dipendenti assegnatari delle utenze, apparirebbe come una formula propiziatoria di buone intenzioni, mentre, in assenza di veri e propri controlli, tutte le fatture furono automaticamente vistate dallo stesso Soprintendente come rispondenti ad esigenze di servizio.
Conclusivamente, in applicazione di un criterio di ragionevolezza e tenuto conto delle nove l’assegnazione di apparati all’interno della sede centrale dell’Ente, il Procuratore Regionale ritiene giustificabile una dotazione complessiva di 15 telefoni cellulari, tenendo nel massimo conto le dedotte esigenze organizzative e discrezionali nonché la dotazione di un apparecchio personale per il Soprintendente.
La spesa complessivamente sostenuta risulta ammontare ad Euro 40.866,76, dalla quale, in armonia con le premesse, parte attrice detrae le somme correlate ad un virtuale, regolare impiego dei telefoni cellulari, contenuto nei limiti conformi alle direttive ministeriali cui la dirigenza della Soprintendenza avrebbe dovuto ottemperare nonché, in relazione alla prevalenza dell’effettuazione di chiamate esterne alla rete dell’Ente, una percentuale equitativamente valutata nel 40% delle spese correlatamente e complessivamente sostenute per il traffico telefonico.
Con siffatta quantificazione, che si prospetta a titolo equitativo ed ai sensi dell’art.1226 cod.civ., si ritiene adempiuto l’onere di una corretta e realistica valutazione del pregiudizio derivato in danno dell’Amministrazione dei beni culturali ed ambientali in dipendenza della trasgressione di direttive e di indirizzi vincolanti, così come della discendente violazione di obblighi di servizio.
Conseguentemente il calcolo del pregiudizio oggettivamente subìto dall’Amministrazione dei beni culturali viene così riepilogato:
a) costo di numero 60 cellulari, maggiorato delle spese accessorie, fiscali e di concessione governativa, euro 20.127,00=;
b) 60% del traffico telefonico, effettuato mediante gli apparecchi cellulari distribuiti, euro 15.687,60=
per un totale di euro 35.814,60 che il Procuratore Regionale addebita integralmente al Soprintendente pro tempore.
Il convenuto si è costituito in giudizio mediante deposito di memoria avvenuto in data 26 maggio 2003.
Con detto atto si deduce:
- la presenza di personale in servizio fuori della Soprintendenza e la necessità di immediata reperibilità;
- la completa istruttoria svolta dai competenti Uffici che evidenziava consistenti riduzioni della spesa per la telefonia fissa;
- la ricerca di mercato che precedette la conclusione del contratto con la Società OMNITEL;
- l’affidamento di 45 cellulari al personale che agiva sul territorio e di altri 15 alle 9 sedi staccate per la efficace comunicazione con i “server centrali”;
- l’approvigionamento di altri cellulari quale scorta in caso di guasto delle apparecchiature affidate;
- l’obbligo per i funzionari dotati di cellulari di servizio, di utilizzarli per assolvere le incombenze istituzionali;
- l’istituzione di controlli da parte della struttura deputata al pagamento delle fatture delle varie utenze, sull’eventuale uso per motivi personali, dei cellulari assegnati;
- la legittimità di contratti di utenze “aperti” in conformità alla direttiva 11 aprile 1997 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione pubblica.
- la previsione di puntuali e tassative istruzioni sull’uso delle apparecchiature;
- la legittimità del pagamento del canone anche per i periodi di inutilizzazione, posto che il mancato pagamento del canone avrebbe determinato la restituzione dei cellulari con pregiudizio maggiore di quello esposto dal Procuratore Regionale.
Il convenuto contesta, inoltre, l’entità del danno e la stessa prova del medesimo, non rinvenibile dagli atti e dall’atto di citazione.
Assume, inoltre, l’inesattezza di tutte le argomentazioni poste a fondamento della domanda con particolare riferimento alla conclusione del contratto, alla dannosità della fornitura, alla necessità di una scorta di cellulari, alla inesistenza di una precisa e tassativa disciplina del loro utilizzo. Conclusivamente chiede il rigetto della domanda attrice e, in via subordinata, l’esperimento di prova testimoniale.
Alla pubblica udienza l’Avvocato Bafile ha richiamato le deduzioni del Soprintendente Bulian del 5.11.2002, in seguito all’invito a dedurre notificato dalla Procura Regionale.Rappresenta il difensore che alcuni impiegati erano stati addetti al controllo contabile; essi controfirmavano le fatture emesse dalla Società OMNITEL attestandone la regolarità.
L’Architetto Bulian assegnò 33 cellulari a personale che operava fuori sede, dipendenti destinati a svolgere funzioni non esecutive; se, quindi, si è verificato un uso improprio di detti apparecchi, non può essere configurata una responsabilità nei suoi confronti.
In conclusione l’Avv. Bafile si è riportato alla memoria difensiva e alle conclusioni ivi contenute.
Il Pubblico Ministero, nel confermare la domanda di cui all’atto di citazione, ha ribadito che l’acquisto dei telefonini è stato frutto di un comportamento non riflessivo, ispirato alla colpa grave.
Ha, poi, rappresentato, che i cellulari sono stati messi a disposizione anche di personale che operava all’interno dell’Amministrazione.
Conclusivamente ha insistito nella richiesta di condanna del convenuto.
Considerato in
DIRITTO
1.La domanda del Procuratore Regionale è fondata e va accolta.
1.1. Come esposto in narrativa, al convenuto, nella sua qualità di Soprintendente per i Beni ambientali, architettonici, artistici e storici dell’Abruzzo, viene addebitata la responsabilità amministrativa ravvisata nel danno erariale derivante dalla stipulazione di contratti con un gestore di telefonia mobile, per la fornitura di telefoni cellulari e per il pagamento delle connesse utenze, con oneri gravanti sui fondi in dotazione alla Soprintendenza.
Più in particolare il nocumento per le pubbliche finanze è ravvisato nei costi sopportati dalla struttura pubblica con riferimento alla distribuzione ingiustificata degli apparati e all’utilizzo degli stessi.
1.2. L’opportunità di introdurre nell’ambito della Pubblica Amministrazione la recente innovazione tecnologica della telefonia mobile, è stata oggetto di approfondita valutazione, proiettata prioritariamente a considerare gli effetti derivati, in termini di accresciuta efficienza e produttività dell’attività amministrativa, nel quadro di un progressivo miglioramento nei rapporti con la collettività.
L’uso di detti apparati, invero, consente più rapide ed efficienti soluzioni avuto riguardo, a titolo esemplificativo, alle esigenze di reperibilità, agli interventi di prevenzione, alla pubblica sicurezza e all’ordine pubblico.
L’innovazione tecnologica, quindi, si è manifestata, senza dubbio, utile per aumentare il grado di efficienza dell’Amministrazione.
Nell’ambito dell’organizzazione amministrativa, peraltro, è necessario correlare l’efficienza degli interventi alla loro produttività.
Quest’ultimo vincolo ha reso necessaria una riflessione sulle modalità di utilizzo degli apparecchi cellulari, che ha consentito di emanare una specifica disciplina, volta, altresì, a superare incertezze interpretative e mancanza di coordinamento che, sostanzialmente, si riverberavano negativamente sugli oneri affrontati dalle pubbliche amministrazioni e sullo uso delle apparecchiature, con riferimento ai legittimi destinatari e alla latitudine dell’utilizzo.
La direttiva 11 aprile 1997 del Ministro per la funzione pubblica, emanata nel dichiarato presupposto di eliminare “le incertezze interpretative e i difetti di coordinamento”, ha disciplinato la materia della telefonia delle pubbliche amministrazioni al fine di promuovere “la trasformazione strutturale e organizzativa dell’intero campo dei sistemi di telefonia”.
La direttiva si articola in 8 paragrafi; di questi il paragrafo n.2 enuncia i principi generali, il n.3 disciplina la telefonia fissa, il n.4 quella mobile.
L’ uso delle apparecchiature della telefonia mobile è sottoposta alle autorizzazioni delle amministrazioni sulla base delle indicazioni dell’organo di direzione politica nell’ambito delle somme disponibili per la spesa telefonica, secondo quanto previsto dal paragrafo 6 e comunque osservando criteri di utilizzazione predeterminati (ad es. esigenza di reperibilità, servizi fuori sede, interventi, anche di prevenzione, per calamità naturali, pubblica sicurezza, ecc.).
Le Amministrazioni, secondo la direttiva, devono tener presente che, anche per la telefonia mobile sussistono possibilità analoghe a quelle della telefonia fissa, di controllo dell’uso (monitoraggio dei consumi, documentazioni di addebito per ogni amministrazione, documentazioni analitiche delle chiamate effettuate dall’apparecchio di telefonia mobile con l’oscuramento delle ultime quattro cifre) e di abilitazione ai servizi (profili specifici, utente, classi di servizio per sottogruppi).
Un paragrafo della direttiva è stato dedicato alla responsabilità del controllo tecnico-amministrativo (par.7).
La disciplina prevede l’individuazione di un responsabile dei sistemi di telefonia cui è affidato, tra l’altro il compito di assicurare che le scelte effettuate non si discostino dai principi fissati nonché l’economica gestione dei servizi telefonici.
In ottemperanza al paragrafo 8 della direttiva, il Ministero per i Beni culturali e ambientali, con nota n.21918 del 17 ottobre 1997, ha elencato le “situazioni” nel cui contesto “ valutare la necessità e l’urgenza delle apparecchiature di telefonia mobile” dettando i seguenti criteri:
“ 1) L’uso delle apparecchiature di telefonia mobile dovrà essere finalizzato ad esigenze di servizio fuori sede, di reperibilità, o di tutela dei beni del patrimonio artistico – storico in situazioni di emergenza per eventi calamitosi.
2) L’uso delle apparecchiature dovrà essere limitato alla durata del servizio fuori sede, della reperibilità o dell’emergenza per eventi calamitosi.
3) In relazione alle esigenze di cui al precedente punto 1 potranno essere attivate le soluzioni tecniche (ad esempio: apparecchi a schede e simili) e potranno essere abilitati i servizi (ad esempio: segreteria telefonica) ritenuti più opportuni e convenienti per l’azione amministrativa.
4) Le spese per l’acquisto, l’uso e la manutenzione delle apparecchiature dovranno essere contenute nell’ambito delle somme disponibili per la spesa telefonica”.
2. Tanto premesso, osserva il Collegio che i contratti sottoscritti dall’odierno convenuto per la fornitura di cellulari, e relative utenze, poi distribuiti al personale dipendente, sono stati conclusi in aperta violazione della normativa di riferimento.
Gli atti di causa, e quelli depositati dalla parte convenuta, evidenziano la radicale mancanza di taluni dei presupposti fissati nella direttiva del Ministero per la funzione pubblica e dei criteri delineati dal Ministro per i beni culturali e ambientali sin dal 1997.
In particolare la telefonia mobile doveva essere introdotta nel più ampio contesto dell’intero sistema di telefonia e , quindi, riducendo il numero degli avvisatori di chiamata e delle linee fisse dirette nonché definendo controlli specifici della spesa e della gestione dei sistemi, al fine di un continuo monitoraggio della regolarità delle imputazioni causali delle spese e del livello di economicità delle stesse.
Gli in equivoci criteri fissati dal Ministro per i beni culturali e ambientali, poi, consentivano l’uso di telefoni cellulari nei servizi fuori sede, di reperibilità o di tutela del patrimonio artistico in situazione di emergenza, limitatamente alla durata del servizio, reperibilità o della emergenza.
Non, quindi, un’assegnazione indiscriminata di cellulari ed utenze, ma un utilizzo legato a specifiche situazioni.
La fornitura di telefoni, con le connesse utenze, è stata perfezionata in aperta collisione con i suddetti principi e direttive, vincolanti per gli uffici dipendenti.
Ciò che rileva, in questa sede, peraltro, non è l’illegittimità della fornitura ma la illiceità della condotta del convenuto che ha utilizzato pubbliche risorse al di fuori dell’interesse pubblico delineato con indicazioni precise e che non si prestavano ad interpretazioni ambivalenti.
La deviazione rispetto al prefissato fine pubblico, risulta macroscopica laddove l’utilizzo dei telefoni cellulari di servizio, è stato concesso a personale adibito all’espletamento di mansioni amministrative presso gli uffici della Soprintendenza.
Inoltre, anche nelle situazioni elencate nelle prescrizioni ministeriali, l’uso del cellulare di servizio era limitato alle specifiche esigenze lavorative, e, quindi, consentiva una consegna in uso temporaneo e non una assegnazione del telefonino e della connessa utenza.
A ciò si aggiunga che i criteri delineati dal Ministro per i beni culturali
e ambientali, indicavano anche le soluzioni tecniche più opportune e convenienti (ad esempio apparecchi a scheda).
Il Soprintendente, invece, sottoscrisse abbonamenti, con costi fissi anche in assenza di utilizzo del cellulare, e, soprattutto in un numero del tutto sovradimensionato rispetto alle reali esigenze dell’Ufficio, così come delimitate dalla disciplina dello specifico settore.
A ciò si aggiunga che nessun criterio è stato fissato per individuare il personale cui assegnare i telefoni.
Infine, non poco rilievo assume nella vicenda di cui è causa l’ordine di servizio n.640 del 10 gennaio 2001.
Con tale atto il Soprintendente, a seguito della visita degli Ispettori del Ministero per i beni culturali e ambientali effettuata il 5 dicembre 2000, ha disposto:
a) il recepimento della direttiva del Ministero per la funzione pubblica dell’11 aprile 2001;
b) la revoca della assegnazione di tutti i cellulari;
c) l’utilizzo di dette apparecchiature per particolari esigenze, connesse all’espletamento di incarichi, previa richiesta del dipendente e per “esigenze temporalmente delimitate e motivate”;
d) la sottoscrizione da parte “del titolare dell’utenza” sulla fattura emessa dal gestore del servizio telefonico, con attestazione dell’avvenuto utilizzo in correlazione con le esigenze di servizio.
In data 16 novembre 2001, poi, il convenuto notificava alla Società erogatrice del servizio, la disdetta di n.60 utenze, attivate nel novembre 1999.
Sia l’ordine di servizio n.640 del 2001, sia la disdetta da ultimo citata, evidenziano, con estrema chiarezza, le irregolarità connesse dal Soprintendente.
Invero le prescrizioni diramate con l’ordine di servizio, aderenti a quelle ministeriali, pongono in risalto la radicale inversione di tendenza nell’uso di cellulari di servizio, culminata con la disdetta di utenze che alla stregua della disciplina dettata, risultavano del tutto esuberanti rispetto alle esigenze di ufficio.
2.1. Nel delineato contesto risultano avverate le condizioni per la configurabilità della responsabilità amministrativa.
Il danno erariale è stato ampiamente provato dall’attore il quale, sulla scorta della documentazione in atti, ha fornito dimostrazione della parziale inutilità dell’acquisto degli apparati di telefonia mobile e delle connesse utenze.
L’elemento psicologico della colpa grave è stato altresì, comprovato non solo dalla cosciente e volontaria violazione della disciplina regolante la materia, ma anche dalla onerosità dell’investimento, volto a introdurre un sistema di comunicazione del tutto sovrastimato rispetto alle esigenze dell’Ufficio (circostanza obiettivamente verificata dallo stesso soprintendente con l’ordine di servizio n.640 del 2001 e la disdetta, nello stesso anno, di 60 utenze), senza, tra l’altro, prevedere efficaci strumenti di controllo e monitoraggio sia della gestione del sistema di telefonia mobile sia della economicità del medesimo.
Va, quindi, riconosciuta sussistente la responsabilità amministrativa, contestata con l’atto di citazione.
2.2. Le estese considerazioni non appaiono superabili dalle argomentazioni svolte dalla difesa del convenuto, incentrate su aspetti che non considerano minimamente le disposizioni vigenti in materia di telefonia mobile.
La competenza della Soprintendenza in ordine alla vastità e particolare conformazione del territorio, la sottoscrizione dell’impegno da parte del personale dipendente ad utilizzare cellulari assegnati esclusivamente per esigenze di servizio, configurano altrettante circostanze valide ai fini della programmazione dell’introduzione della telefonia mobile e delle modalità di utilizzo, ma sempre nel quadro della disciplina dettata in materia e, quindi, con i limiti già indicati ai paragrafi 1.2 e 2..
Del resto, come già accennato, il convenuto, nella sua qualità di Soprintendente, prima revocò le assegnazioni degli apparati , poi chiese al Ministro la ratifica del suo operato (peraltro non ottenuta). e, infine, notificò disdetta di 60 utenze alla società erogatrice del servizio, fatti tutti riconducibili , come si evince chiaramente dall’ordine di servizio n.640 del 2001, ad una macroscopica deviazione dai principi e criteri posti dalla specifica disciplina in materia.
Ad omologa sorte sono destinate le ulteriori difese, volte a colorire di trasparenza una condotta assolutamente censurabile in termini di responsabilità amministrativa.
Appare quanto mai singolare disattendere una disciplina compiuta e non assoggettabile ad interpretazioni ambigue, sostenendo che:
- la fornitura fu preceduta da ricerca di mercato compiuta da personale a tal fine incaricato e ritenuta dai medesimi incaricati “vantaggiosa “ sotto i profili operativo e finanziario;
- il controllo dell’uso delle apparecchiature venne affidato ad un impiegato con la funzione di “referente”.
- gli ordinativi di pagamento delle fatture telefoniche furono controllati dai competenti uffici che ne rilevarono la regolarità.
La singolarità della difesa, chiaramente proiettata ad addossare ogni responsabilità della vicenda ad alcuni dipendenti della Soprintendenza, risiede nella circostanza che viene quasi prospettata una figura e una funzione del funzionario di vertice dell’Ufficio, del tutto avulsa dai compiti propri, tra l’altro di rango dirigenziale.
Al convenuto, ratione muneris, incombeva, infatti, di applicare, giova ribadirlo, una disciplina articolata, che prevedeva l’introduzione della telefonia mobile nelle pubbliche amministrazioni in presenza del ricorrere di precise condizioni.
In particolare dovevano essere valutati, in un contesto unitario, i miglioramenti delle prestazioni della Amministrazione e la razionalizzazione della spesa nell’intero sistema telefonico, a titolo esemplificativo riducendo le linee fisse dirette (paragrafo 6 della direttiva del Ministro per la funzione pubblica).
Occorreva, altresì, predisporre un rigoroso monitoraggio dei consumi, che avrebbe consentito di verificare l’economicità dell’iniziativa ed un controllo sulla documentazione delle chiamate effettuate dagli apparecchi di telefonia mobile (paragrafo 4 della direttiva prima citata).
Orbene la difesa del convenuto sostiene che le disposizioni impartite dal Soprintendente, furono ispirate al rispetto della legalità nonché all’efficienza e all’economicità dell’iniziativa.
Ma, come accennato, detta prospettazione appare priva di ogni fondamento, avuto riguardo non solo alla difformità della fornitura rispetto alla normativa di riferimento, ma proprio in ragione della totale abdicazione da quelle regole che, anche se non riportate nella disciplina stessa, avrebbero, comunque, dovuto ispirare il comportamento del Soprintendente.
In estrema sintesi incombeva al medesimo di accertare, in via del tutto preliminare, le reali esigenze dell’Ufficio, previa ricognizione dei servizi che si svolgevano nelle “situazioni” indicate nella disciplina ministeriale.
Provvedere, poi, ad effettuare una ricerca di mercato (di cui il convenuto allega l’esistenza, ma della quale non fornisce alcuna prova), volta ad acquisire le offerte per utenze in abbonamento ovvero, come indicato nello specifico ordinamento della materia, per acquisti di schede pre-pagate, avuto anche riguardo all’utilizzo temporaneo e per specifici servizi, secondo le prescrizioni impartite dal Ministero.
Ma, soprattutto, andava organizzato un rigoroso controllo della gestione della telefonia mobile,con riferimento alla qualità delle prestazioni della struttura e ai costi sopportati dalla stessa.
Si trattava di adempimenti dettati dalla regola della buona amministrazione e che sono del tutto mancati nella vicenda di cui è causa.
2.3 In ordine alla quantificazione del danno, occorre premettere alcune considerazioni.
Sia l’acquisto degli apparati, sia le telefonate (private o per servizio) configurano pregiudizio per l’erario, ove debordino dai limiti stabiliti con l’illustrata disciplina risalente al 1997.
Nel delineato contesto, quindi, è rimasto accertato che la fornitura di cellulari è risultata marcatamente sovradimensionata; anche le relative utenze evidenziano la medesima connotazione.
In ordine al pagamento delle utenze medesime, per canoni e telefonate, il pregiudizio patito dalla Amministrazione è riferito non solo ai canoni esuberanti, ma anche alle telefonate private, ben desumibili dai tabulati forniti dalla società che ha gestito il servizio, e a quelle di servizio, ove non effettuate nelle “situazioni” indicate nella più volte richiamata disciplina ministeriale.
Orbene, avuto riguardo alle obiettive difficoltà di poter analiticamente individuare quali comunicazioni siano state effettuate al di fuori dei limiti consentiti e quante apparecchiature, con connesse utenze, abbiano superato il limite posto dalla disciplina in materia, ritiene il Collegio, in aderenza alla prospettazione attrice, di dover quantificare il pregiudizio patito dall’Amministrazione per i beni e le attività culturali in via equitativa ex art.1226 cod.civ. in euro 15.000,00 somma comprensiva di rivalutazione monetaria, oltre interessi a decorrere dalla pubblicazione della presente sentenza e sino al soddisfo.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei conti –Sezione giurisdizionale per la regione Abruzzo, accoglie la domanda presentata dalla Procura Regionale e, per l’effetto, condanna BULIAN Giovanni al pagamento in favore dell’Erario della somma di euro 15.000,00 (quindicimila) oltre interessi legali a decorrere dalla data di pubblicazione della presente sentenza e sino al soddisfo.
Lo condanna, altresì, al pagamento delle spese di giudizio che sino all’originale della sentenza si liquidano in euro 202,46. --------
Così deciso nella Camera di Consiglio del 17 giugno – 20 novembre 2003.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Depositata in Segreteria il 05/04/2004
Il Direttore della Segreteria
f.to Berardino Santucci